Una città marcia dal ventre molle… l’affaire Aldo Milani.

Posted on 1 febbraio 2017

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Un mese. Nemmeno un mese di questo 2017 che già c’è qualcosa che esonda.

No, non si tratta del Secchia come nel gennaio del 2014. È qualcosa di meno evidente, di più sordido, viscerale. Come se dai tombini della città fuoriuscisse una melma oleosa che dalla fogna lambisse direttamente le suole di ignavi passanti troppo concentrati sul futuro megaevento cittadino – il concerto di Vasco – per accorgersi della poltiglia appiccicaticcia fuoriuscita.

È l’equivalente in salsa locale del #MuslimBan di un Trump appena insediato o della facilità con la quale Erdogan ha instaurato in Turchia una dittatura a tutti gli effetti. È il sintomo che si fa malattia e sul quale giacciamo adagiati in una rete di impotenza autoimposta. Se li ponessimo tutti in fila, questi sintomi concentrati in questo primo mese del 2017, avremmo un quadro della situazione politica in città. Un panorama a tinte fosche, mutato sensibilmente e verso il quale forse (è doveroso dirlo) non si è nemmeno preparati.

A metà gennaio apre in città un covo neofascista “Terra dei Padri” (non si conosce così bene il territorio ma potrebbe essere tranquillamente il più grande in Regione!) al cui interno gravitano sigle come Casa Pound, Lealtà-Azione e Forza Nuova. Media, “società civile” e istituzioni fanno spallucce nella sostanza e in maniera pilatesca sembra se ne siano già lavati frettolosamente le mani. Nemmeno l’inquietante presenza di Mario Merlino all’inaugurazione appare motivo sufficiente per aprire bocca ed esporsi apertamente. Mentre la destra locale, anche con blitz di Forza Nuova rilanciati dalla stampa, si avventa sugli “ebrei” moderni, profughi e migranti, il sindaco Muzzarelli chiede a Minniti la contropartita per l’apertura del Cie, riproponendo l’ormai consueto (sigh!) “lavoro volontario” (forzato) per i richiedenti asilo, rilanciando nuove ronde per la sicurezza nonché nuove risorse di polizia (nonostante Modena sia sovraorganico!) ed infine la richiesta infame (in coro col proprio omologo di Reggio) di trasformare l’accattonaggio in reato penale, con pene detentive da sei mesi ad un anno.

Non a caso il “blocco moderato” della politica istituzionale oggi è un monumento alla reazione. Reazionari da strapazzo travestiti da riformatori senza più alcun riferimento sociale né di idee critiche che cerchino di rintracciare le cause dei problemi, invece di mettere una pezza propagandistica alle conseguenze. Oggi, chi si ritrova costretto a scegliere l’offerta politica più convincente, tra gli scaffali degli scarti, può distinguere giusto i toni tra una Lega e un Pd, non di certo le politiche.

Non è di certo una novità come tanto deportazioni, espulsioni, centri di reclusione e lavoro gratuito siano oggi diventate ricette bipartisan quanto le retoriche su legalità/degrado/sicurezza; significanti vuoti dietro ai quali nascondere il progressivo disagio sociale, l’impoverimento di ampie fette di popolazione, la precarizzazione del lavoro, la riduzione delle risorse destinate alla salute e ai servizi sociali, la devastazione dei territori e lo sperpero di denaro in grandi opere inutili e cementificatrici.

Continuare ad osservare il neofascismo come un fenomeno slegato dalle istituzioni è una visione estremamente miope.

polany“Sorveglianza e repressione capillare di alcune comunità e territori, militarizzazione della polizia e del conflitto sociale, violenza razzista di stato, privatizzazione della sicurezza, e incarcerazione di massa non obbediscono alla logica di dominio singoli stati, governi o multinazionali, ma sono la risposta di razza e di classe del capitalismo neoliberale globale ai meccanismi di esclusione sociale generati dalla sua stessa logica di accumulazione. Dev’essere dunque chiaro che la logica neoliberale di “accumulazione per spossessamento” ha nell’industria della punizione una delle sue protesi più trainanti e influenti.” Da: I perimetri armati della segregazione.

In città aprono sedi neofasciste mentre chiudono le altre. Il consolante film “della città medaglia d’oro per la resistenza” è giusto una dolce illusione, sottotitolata e in bianco e nero. c3uf8p8wqaejzjzDi quel tipo di “egemonia”, in queste lande d’Emilia “rossa”, è rimasta giusto la nomea e quel deficit di pensiero tipico di un luogo nel quale c’era “il Partito” che “pensava al posto tuo” e ti diceva “cosa era giusto fare”. Oggi lo si nota maggiormente e prima ancora di aver colonizzato un “terreno” ciò che è stato conquistato da lungo tempo era prima di tutto un linguaggio, un lessico. Si perde sempre un pezzo alla volta. Le continuità tra pratiche e programmi di destra e amministrazione locale cominciano da lì. Da un linguaggio comune. È un concerto semantico a cui media locali e generali partecipano attivamente come amplificatori, colpendo a turno sugli stessi temi e sulle stesse vittime.

È utile considerare la riflessione del linguista cognitivo George Lakoff sul framing, la rete semantica che incornicia il nostro modo di pensare e di parlare. Chi aderisce al framing reazionario non prova empatia per gli esseri umani oppressi. Anzi. […] L’autorità implica la formazione di consenso top-down, dall’alto verso il basso. Il potere chiede disciplina e obbedienza. L’obbedienza si impone con la punizione. Nello sguardo del reazionario, è la gerarchia a strutturare la società, non la solidarietà. […] Eppure i nostri giorni, più fluidi, sono lontani dalle rigidità dei fascismi storici. Il fascismo contemporaneo è in effetti una maschera, una configurazione di superficie attivata dal neoliberismo. Lo schema profondo può adattarsi alle logiche più liquide dei nostri tempi. Il frame si riconfigura allora sul mercato, che è il duce liberale della modernità. Il mercato è il padre che impone una disciplina, premia chi lo rispetta e punisce chi si ribella. Se sei ricco, hai rispettato il padre, hai una posizione, sei eticamente una persona morale. Se sei povero, te la sei cercata, sei un indisciplinato, ti meriti di morire per strada, senza empatia.” (Qua)

Così, ad esempio: per riqualificazione intendiamo la cacciata dei poveri dal quartiere, chiamiamo accoglienza Cona o aiuto all’integrazione il lavoro gratuito (forzato di fatto se si considera il ricatto dei documenti), il racket è sempre quello dei lavavetri, l’alternanza scuola-lavoro un’opportunità, un’esperienza, il tirocinio non pagato è per il tuo bene e fa curriculum, chiamiamo Jobs-Act una serie di norme che non servono a creare lavoro ma a licenziare, chiamiamo rimpatri le deportazioni, missioni di pace le guerre, terroristi quelli dalla pelle scura o con la religione giusta che compiono stragi, squilibrati o ultras quelli bianchi e fascisti (questo ultimo termine è generalmente bandito), i diritti sempre tra virgolette, gli scioperi sono sempre di venerdì (come se non ci fossero categorie che lavorano anche al sabato e la domenica), il privilegio lo chiamiamo meritocrazia e assistenzialismo o spreco il welfare residuale

Seguendo la pista del lessico, della neolingua , il framing che passa a tutto volume sull’affaire Aldo Milani è tanto evidente quanto inquietante. In un settore come quello della logistica, nel quale le mobilitazioni messe in atto dal sindacato SiCobas sono forse da considerarsi il fronte più avanzato del conflitto Capitale/Lavoro in questo Paese e durante le quali si può essere persino uccisi per un picchetto, come successo solo a settembre a Abd Elsalam Ahmed Eldanf che la pratica dello sciopero passi come estorsione è un segnale estremamente preoccupante.

Il punto nodale della vicenda è esattamente questo. Nonostante fin da subito i contorni della vicenda fossero estremamente torbidi e il sentore di trovarsi di fronte ad una vera e propria macchina del fango si facesse penetrante il coro compatto di media (meschini oltre l’inverosimile), istituzioni, polizia, questura e sindacati confederali (Cgil in testa) faceva il paio con l’assenza totale di anticorpi in seno a ciò che definiremmo “società civile”.

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Il Direttore della Gazzetta di Modena.

Ciò che fuoriusciva dai tombini della macchina della reazione messa in moto non era solo il tentativo di screditare una lotta (quella che a Modena vede impegnati i SiCobas nel distretto della lavorazione della carne) ma un vero e proprio mantra che salmodiava all’orecchio parole sibilline tipo: “vedete allora? sono tutti uguali i sindacalisti, sono tutti venduti!”

Triturato in prima pagina tra il fuoco incrociato di un video muto, delle “veline” della questura e dall’assenza più completa del consueto garantismo riservato a politici e potenti (vero Grazioli?) Aldo Milani è stato, prima ancora che incarcerato, cotto sulla graticola della pubblica abiura.

“Scommettiamo che avete visto anche voi un servizio sull’arresto per estorsione di due sindacalisti a Modena? Sapete che due giorni dopo l’accaduto si è dimostrato in gran parte falso? “Chiedevano soldi per fermare picchetti, arrestati due sindacalisti”, “Arrestati in flagrante per estorsione due sindacalisti del SI Cobas”. Questi alcuni dei titoli di giornale il giorno dopo l’arresto di Aldo Milani, coordinatore nazionale del SI Cobas, avvenuto giovedì scorso. E la sera il redattore del Tg1 Marco Bariletti poteva gongolare nel “dimostrare” che Milani mentre “disquisiva di legalità alle assemblee” aveva chiesto per sé una tangente da 90.000 euro. Ma quello che pochi istanti dopo l’arresto veniva presentato come dato di fatto dalla procura e dalla stampa, paventando addirittura un sistema di estorsione generalizzato, non limitato al singolo caso della Levoni, si è dimostrato poche ore dopo in gran parte falso. Il sindacalista che prende la tangente nel video che avete visto tutti? Non è un sindacalista, è Danilo Piccinini, professionista a libro paga del gruppo Levoni ed appartenente a quel mondo delle cooperative che fornisce alle imprese manodopera flessibile ed a basso costo. Aldo Milani, invece, una vita dedicata alla lotta e all’attività sindacale senza secondi fini, con eventuali transazioni economiche tra Piccinini e Levoni non ha nulla a che fare. Come ha potuto finalmente dire, una volta liberato dal carcere di Modena, accolto sabato pomeriggio da una marea solidale di lavoratori e militanti del SI Cobas (qui le sue video dichiarazioni).” Ma allora perché questa prontezza da parte della procura e dei media nel diffondere una notizia che già così confezionata appare palesemente falsa? Perché nessuno scrupolo nel definire un “sistema finalizzato all’estorsione” un sindacato di base che negli ultimi 9 anni, attraverso gli scioperi e l’autorganizzazione dei lavoratori, è riuscito a migliorare le condizioni di vita e di lavoro di tanti operai, ripristinando il rispetto dei contratti collettivi, delle norme di sicurezza, ponendo un freno al semischiavismo praticato da cooperative in odor di mafia? La risposta è nella domanda: il SiCobas doveva essere diffamato proprio per quello che è, un sindacato che lotta e vince, spesso su questioni che oltre a riguardare la giustizia, riguardano anche la legalità che questure e procure si guardano bene di far rispettare quando colpisce gli interessi dei vari Levoni, Granarolo, Ikea… e delle altre aziende del settore.” (Qua)

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Il giorno seguente all’arresto di Milani l’operazione mediatica sulla stampa modenese è estremamente interessante. In “prima pagina” finisce una Cgil (il sindacato buono, quello “legale”) che sulla vicenda Trankwalder si nota giusto sui giornali ma che non ci pensa due secondi ad attaccare i SiCobas con un comunicato come questo: “lavoratori del distretto modenese delle carni sono stati sfruttati due volte: una prima volta nel sistema degli appalti, una seconda attraverso sindacati che avevano altri fini” contenente, tra l’altro, falsità. (si afferma che Piccinini sarebbe stato consulente dei SiCobas).

Come lavoratori “sfruttati” dai SiCobas siano subito scesi in sciopero e si siano fatti due presidi molto partecipati sotto il carcere di Modena aspettando la liberazione di Aldo è una domanda che non sembra avere sfiorato minimamente le sinapsi della Cgil troppo impiegate a gettare fango tanto sui metodi che sulla sigla. sicobas

La complicità della stampa cittadina all’operazione risulta evidente e in seconda pagina finisce il (“sindacato cattivo” che fa estorsioni). Giusto un accenno alle illegalità delle cooperative appaltatrici, più volte denunciate dai SiCobas e mai approfondite tanto da stampa, quanto da istituzioni, altri sindacati e procure.

Molto più facile denunciare la “violenza” dei picchetti piuttosto che condizioni di sfruttamento di stampo para-mafioso penetrate in profondità nel tessuto produttivo. Nel gennaio 2014, a Bologna, un giudice, tale Alberto Ziroldi per giustificare l’arresto di due delegati sindacali Si Cobas, nella vertenza Granarolo metteva nero su bianco testuali parole“colpevoli di resistenza al padronato e alle forze di polizia, ritenute il braccio armato delle prime.” Sempre nel 2014, in febbraio, Cgil, Libera e Arci di Bologna rilasciarono un comunicato (ora introvabile) nel quale esprimevano solidarietà al Presidente della Granarolo attaccando in questo modo le lotte portate avanti: “Occorre che la rabbia e le legittime rivendicazioni rimangano all’interno del conflitto democratico, senza che da esso debordino, sfociando in violenza, sopraffazione e minacce.”

Oggi, questa vicenda, che può essere considerata il secondo tempo di una partita politica molto più ampia, purtroppo ha compiuto un salto di scala. L’apparato mediatico-istituzional-securitario ha prodotto una canea che non solo mette direttamente  a rischio il diritto di sciopero e le lotte sindacali tout court ma che ricorda da vicino, molto vicino, metodi e dinamiche tipicamente fasciste.

Il giorno seguente, nonostante la scarcerazione di Milani e il sensibile raffreddamento delle accuse i titoli della Gazzetta suggerivano comunque altro. Non solo, la confusione attorno alla figura di Danilo Piccinini, chiave di tutta la vicenda, proseguiva in maniera non del tutto disinteressata. Confindustria di Modena, ad esempio, nell’esprimere solidarietà alla famiglia Levoni si esprimeva così e in maniera non molto difforme dal primo comunicato della Cgil: alla famiglia Levoni che, dopo mesi di grandi tensioni e conflittualità, ha avuto il coraggio di denunciare la richiesta di denaro in cambio della ‘pace sociale’, atto che ha portato all’arresto di un rappresentante dei SiCobas e di un consulente. Si tratta di un gesto gravissimo di illegalità che, se comprovato dalla successiva fase processuale, testimonierebbe un uso pericolosamente strumentale dei lavoratori da parte di chi, invece dovrebbe tutelarli e rappresentarne gli interessi. Un comunicato che andava a rimarcare le parole pronunciate il giorno dell’arresto dal procuratore capo di Modena, Lucia Musti: “Abbiamo il sospetto che altri imprenditori siano stati vittime di questo sistema estorsivo. A loro chiediamo di farsi avanti. La pace sociale non può essere merce di scambio”. (Pare proprio che i magistrati con l’elmetto non frequentino solo la Val Susa.)

Un comunicato che usciva lo stesso giorno in cui si potevano leggere le motivazioni della convalida del fermo di Aldo Milani da parte del Gip “Una motivazione sicuramente insolita” per la Gazzetta e una convalida motivata per “il comportamento “incredibile” tenuto dal sindacalista mentre Piccinini intascava la busta col denaro, per Il Carlino.

Gli unici a non dubitare nemmeno un secondo della condotta del sindacalista sono stati proprio i lavoratori ed è proprio grazie alla loro mobilitazione davanti al carcere in segno di inequivocabile solidarietà se il teorema dell’accusa non ha attecchito fino in profondità nelle sinapsi corpo sociale.

Una cronaca presa da qua: Cronaca di una montatura.

“8 gennaio 2016. h. 10.00.  È freddo davanti ai cancelli del carcere di Modena, quel freddo umido che ti entra nelle ossa.
È la prima volta che ci vengo, ma non è stato difficile trovarlo, seguendo i gruppetti dei lavoratori che gli si avvicinano alla spicciolata.
Dietro quelle sbarre e quei muri c’è Aldo Milani, coordinatore nazionale del Si Cobas.
Non lo conosco personalmente. Sono qui per capire, anche se in realtà alcune risposte me le sono già date, da quando i TG hanno cominciato ad infangarlo a reti unificate.

Avevano appena intascato una mazzetta. Due sindacalisti della sigla Si Cobas sono stati arrestati in flagranza di reato dalla polizia a Modena … L’ accusa è di estorsione aggravata e continuata nei confronti di un noto gruppo industriale che opera nel settore della carne. Motivo: ammorbidire le pressioni delle proteste.”

Un’accusa infamante, l’accusa ‘perfetta’ se vuoi distruggere un compagno.
Perfetta per i borghesi, inorriditi dal ricatto contro i poveri imprenditori vessati, ma perfetta anche per insinuare il dubbio, stimolare la rabbia di chi viene indotto a credere che le lotte siano state svendute per denaro.

I TG hanno anche esibito la così detta ‘prova regina’, pochi secondi di un video senza audio che mostra quattro persone attorno al tavolo di una trattativa sindacale, due delle quali si passano una busta.
A seguire, le immagini di repertorio delle cariche sui picchetti dei lavoratori della logistica, poste ad arte per suggerire il teorema della ‘durezza dei blocchi’ come fase preliminare dell’epilogo estorsivo.

Come è possibile?
È stata la mia prima domanda, e troppe cose mi sono passate per la testa tutte insieme: il sorriso soddisfatto dei padroni e dei loro caporali cooperativi, i sorrisi di CGIL, CISL e UIL, sempre pronti a stigmatizzare la ‘violenza dei picchetti’. E poi la criminalizzazione di una lotta, il rischio che riescano a sconfiggerla, a ricacciare migliaia di persone nell’ombra di uno sfruttamento senza speranza.

Su Milani, in quel momento, non sapevo cosa pensare.
Ero incazzata, ma ho sospeso il giudizio fino a quando non sono emersi altri elementi (non certo dai telegiornali, né dalle cronache dei quotidiani principali ). In particolare:

  • che chi ha intascato la busta con un gesto plateale non era Milani, e neanche un appartenente al Si Cobas o un consulente di parte sindacale, come sostenuto dai  TG, ma un cd ‘mediatore’ – tal Piccinini – convocato in trattativa dall’azienda
  • che nell’audio della trattativa Milani ha parlato solo dei 55 licenziamenti nella logistica della Levoni e delle spettanze dei lavoratori, non di mazzette per il sindacato
  • che solo Piccinini è stato arrestato in flagranza di reato con la busta addosso. Milani è stato arrestato varie ore dopo, a casa sua, perchè non erano insieme

E’ una trappola.
Non è la prima volta che succede. Anzi, è dai tempi di Haymarket Square che la costruzione di accuse false viene utilizzata contro il movimento operaio.
Cosa dite ? Che sono passati 131 anni e questi metodi non si usano più ?
Che gli imprenditori di oggi non ne sarebbero capaci?
Dite che adesso ci sono la democrazia, la legalità, le regole ?

Dite che la polizia non mena più gli operai davanti ai cancelli?
Che nessuno muore più nella forzatura di un picchetto?
Che i sindacalisti combattivi non vengono più aggrediti in un agguato?
Che i picchiatori delle aziende non si avventano più con i bastoni sui lavoratori in sciopero?
Che non vengono più utilizzati crumiri?
Che non vengono più utilizzati caporali?
Che non si licenzia più per rappresaglia antisindacale?
Che i salari bastano per condurre una vita decente?
E che queste cose fanno parte di un passato remoto, così come la costruzione di montature mediatico/giudiziarie  contro i sindacalisti.

Ne siete sicuri ?
Io no, e la mattina del 28 gennaio, davanti al carcere di Modena, continuo a farmi domande, del tipo “come si esce da sta storia di merda?

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Ho cercato le risposte nei siti internet di varie organizzazioni del sindacalismo di base, ma tace l’USB, tace la CUB. Bernocchi dei Cobas purtroppo no: ‘invitiamo tutti i mezzi di informazione ad evitare qualsiasi confusione tra i COBAS e il cosiddetto SI Cobas….‘. Questa è la sua unica preoccupazione.

C’è chi prende le distanze, chi fa il vago. Solo l’ADL e la sinistra CGIL dimostrano di comprendere la portata dell’attacco, rivolto non solo contro Milani e il Si Cobas, ma contro tutto il sindacalismo di base e contro tutte le lotte, della logistica e non.
Se passa questa provocazione tutti potranno essere colpiti, prima o poi, allo stesso modo.
Su ogni picchetto potranno essere insinuate finalità malavitose, da quegli stessi media che la mafia delle cooperative han sempre fatto finta di non vederla.

La posta in gioco è alta. Per le ditte che guadagnano milioni sullo sfruttamento dei facchini, ma perdono milioni quando i facchini lottano. Per tutti i lavoratori della logistica che rischiano di subire un colpo durissimo nel loro percorso di liberazione.

Per questo sento il bisogno di ritrovarmi alle 10 del mattino davanti a un carcere, per dimostrare vicinanza  ai primi destinatari dell’attacco, queste centinaia di operai di ogni colore che accorrono al presidio.
E’ in loro la risposta che cercavo: ‘La solidarietà è un’arma’, è il calore che unisce ragazzi neri, magrebini, sikh e pakistani, sindacalisti dai capelli bianchi, compagne e compagni dei centri sociali.
L’italiano è la lingua degli slogan, lo strumento che unisce queste genti, una lingua ‘coloniale’ usata per capirsi nella lotta. Oggi mi accorgo di amarla molto più di quando me l’insegnavano a scuola.
Così come non mi sembrano patetiche o retrò le canzoni della nostra resistenza gridate dall’amplificazione. Perchè sono qui gli eredi degli operai delle Fonderie Riunite, dei licenziati che nel ’50 affrontarono, proprio in questa città, il piombo della polizia.
Oggi battono sui cancelli di un carcere per riavere indietro un loro compagno, mentre altri come loro scioperano a Milano, Piacenza, Parma, Brescia, negli interporto di Bologna e Roma.

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Non hanno creduto a una sola parola delle veline della Questura, e non ne sembrano neanche tanto stupiti. Del resto, nel corso delle loro lotte, ne hanno già viste di tutti i colori.
Sorprende come in una situazione del genere possano esprimere anche allegria: ogni tanto la pressione sui cancelli del carcere si allenta, e qualcuno grida ‘fate largo che Aldo sta uscendo‘. Allora nel presidio si apre un varco per farlo passare, come in un rito propiziatorio.
Finchè, nel pomeriggio, non esce davvero (il video qui). Non proprio libero: con obbligo di dimora a Milano. L’interrogatorio è andato bene, ma la storia non è certo finita, nè a livello giudiziario né mediatico.
La macchina del fango è ancora in piena attività, ma se non altro, se volevano assicurarsi la pace sociale, forse hanno sbagliato sistema.”

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Le solidarietà ad Aldo Milani e al Si-Cobas non sono di certo mancate (qua alcune); certo è che un Paese nel quale un dirigente sindacale nazionale viene arrestato con queste modalità o nel quale un Presidente dell’Anpi viene indagato per un presidio antifascista è un Paese nel quale la democrazia sta definitivamente morendo.

“Nel settore delle carni, in particolare nel modenese, vigono condizioni di sfruttamento estremo. Cinquantacinque lavoratori del gruppo Levoni sono stati licenziati per aver scioperato. Non riuscendo a fermare la lotta neanche con i manganelli e i lacrimogeni, padroni e questura hanno architettato l’arresto del coordinatore nazionale Aldo Milani nel maldestro tentativo d’incriminarlo ingiustamente. La risposta immediata di migliaia di lavoratori in tutta Italia é riuscita ad ottenere la liberazione di Aldo, ma esta la denuncia. CON ALDO VOGLIONO COLPIRE LE LOTTE E LA LIBERTA’ DI SCIOPERO! CONTRO LE GUERRE DEI PADRONI, PER L’UNITA’ E LA DIFESA DELLE LOTTE DEI PROLETARI!” (Qua)

SABATO 4 FEBBRAIO, MANIFESTAZIONE NAZIONALE A MODENA
ORE 14, PIAZZA S. AGOSTINO

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