Modena – Toxicity.

Posted on 24 ottobre 2017

0



Conversion, software version 7.0
Looking at life through the eyes of a tired hub
Eating seeds as a pastime activity
The toxicity of our city, our city

 

Ci sono due giunte consecutive che pensano che rilanciare la città significhi creare nuove case per il ceto medio a distanze minime dal centro, dentro il perimetro urbano. Gli obiettivi dichiarati sono: la rivitalizzazione e riqualificazione di interi quartieri (da sottrarre alle cattive frequentazioni e al disagio sociale) e l’innesto di una spirale economica positiva a partire dai benefici per gli operatori del settore edilizio. Questo progetto si rifà a visioni profetiche di una città che cresce di 45.000 abitanti in 50 anni, poi ridimensionate a soli 10.000. Un sacco di gente in provincia non è d’accordo: le tendenze demografiche sembrano smentire le previsioni, i problemi percepiti da una parte di opinione pubblica sui costi ambientali e sociali di questo modello di sviluppo sembrano essere maggiori dei vantaggi, per quanto abbia poco spazio la loro espressione in una ambito di dibattito esaustivo e coerente. Tuttavia la situazione non è buona, tant’è che la decisione su chi debba essere il segretario provinciale del principale partito di maggioranza avviene “chiudendo il discorso nelle stanze dove è ammesso solo chi conta” e “soffocando sul nascere buona parte di una dialettica che andrà a sfogarsi altrove“. Non sono biliose parole dell’opposizione interna ma parole del misurato Enrico Grazioli, ben interno anche lui a certe “tattiche” del partitone (più avanti spiegheremo quali, nel caso ce ne fosse ancora bisogno) ma aduso a presentarsi come direttore di tutti, che altrimenti guarderebbe con serafico distacco i politicismi interni.

Le parole di Grazioli mostrano invece che, in questo caso, anche per un sincero democratico la gestione controllata del dissenso fa acqua da tutte le parti. Incontrollabili speculazioni immobiliari lontane dai bisogni dei cittadini, tensioni sociali nei quartieri, comitati che si indignano, distanza crescente tra la rappresentazione e la realtà: neanche un buon direttore di giornale locale del gruppo L’Espresso riesce più a fare bene il suo mestiere quando la gestione del territorio “rassomiglia allo stregone che si scopre impotente a dominare le potenze sotterranee da lui stesso evocate” (K. Marx, F. Engles, “Manifesto del partito comunista”). La nostra tesi è che oggi siamo a quel punto: la classe dirigente locale, sintetizzata dal Partito Democratico e dai suoi accoliti, ha gestito il potere a Modena evocando una serie di fenomeni che non può più controllare.

Perché infatti non si trovava un segretario provinciale del Partito Democratico? Perché, come sanno i tanti bravi sindaci delle città e dei paesi, e come riportano i bravi direttori dei giornali locali, trovarsi già il tavolo pieno di accordi non è facile per nessuno. C’è chi scommette tutto, ci mette la faccia prospettando una candidatura nazionale, premendo sull’acceleratore del Diesel o sfruttando i movimenti per la scuola pubblica ma in fondo tutti sanno che di solito solo uno su mille ce la fa, e la pacifica sopportazione di sottostanti novecentonovantanove è garantita da una struttura, il Partito, che se fa troppi errori implode. La sensazione è che tutte le polemiche, talvolta abilmente cavalcate dal sito di informazione “La Pressa”, stiano lì ad indicare l’enorme varco che si è aperto nelle contraddizioni interne di quel sistema di governo.

Forse questo significa che si siano aperte delle contraddizioni utili a produrre un cambiamento positivo? Vari gruppi di pressione provano oggi ad inserirsi nello spazio aperto da questi vuoti di consenso per far valere i propri interessi, cercando di capitalizzare il malcontento e la disaffezione che l’amministrazione ha accumulato. C’è tuttavia da dubitare che esistano vere e proprie ipotesi “competitive” sul piano di un modello diverso di città. minnitimuzza La gestione del territorio degli ultimi anni, evocando le “potenze sotterranee”, ha creato i suoi modelli di dialettica interna funzionali ad autoriprodursi. In un terribile circolo vizioso, il sistema sembra inseguire momenti di precario equilibrio aumentando il numero e la irragionevolezza delle contro-forze che stimola al suo interno: la speculazione edilizia incontrollata, i fascisti nei quartieri, i comitati che si indignano; il fatto che sulla Gazzetta di Modena le affermazioni di quegli stessi Comitati siano poi travisate e funzionalizzate attraverso la torsione in senso “securitario” dei temi da essi sollevati, che l’emergenza sicurezza sia quotidianamente rinnovata attraverso la disposizione e la presentazione delle notizie, rinfocolando altro scontento a vantaggio dell’estrema destra e fornendo la giustificazione per nuove speculazioni immobiliari mascherate da riqualificazione: lo stregone, al massimo della sua potenza magica, sembra davvero difficile da ricondurre alla ragione. (Qua)

Fuor di metafora, l’amministrazione cittadina prova a rivitalizzare in senso “smart” il tessuto economico del territorio, parlando di alta qualità dei prodotti industriali, presentando la città come una vetrina e nascondendo quotidianamente le pesanti problematiche che sussistono sul piano dei diritti del lavoro, della salubrità dell’aria e della crescente esclusione sociale. Contestualmente, dichiarando la netta “indiscutibilità” delle scelte urbanistiche presentate all’inizio, rinnova la propria dipendenza dai capitali legati alla finanza immobiliare. In questo quadro, l’interesse per la “questione sociale” si ritrova solo quando si afferma di rispondere alla crisi economica e al disagio sociale aumentando le opportunità di “sgocciolamento” da questi stessi capitali immobiliari, dalle opere di riqualificazione, dai grandi eventi. Se non bastasse l’affermazione di un consigliere di maggioranza in sede di approvazione dell’ultimo bilancio, per cui è necessario “l’utilizzo degli oneri di urbanizzazione per l’aumento della spesa sociale” , l’applicazione modenese del “Piano Periferie” rappresenta un perfetto osservatorio di questo approccio, come vedremo più avanti. battaglie Per evitare qualsiasi operazione redistributiva in senso egualitario, si spingono gli organi di informazione e il grande gruppo di funzionari del consenso che lavora negli uffici, nei servizi e nelle questure a creare una situazione di “assedio”. Il “degrado” assedia la città che altrimenti potrebbe essere “smart” e ben frequentata. Dietro la rappresentazione del degrado si nasconde in realtà la guerra tra poveri, sempre di più rispetto ad un welfare decurtato e sempre meno incisivo non solo nel dare opportunità di riscatto, ma ormai anche nella semplice “gestione” della povertà.

Oggigiorno le mappe servono quanto le tabelle statistiche. Molto banalmente, abbiamo una zona a Sud della città – considerata appetibile dal mercato immobiliare – nella quale si vorrebbero costruire nuove palazzine cementificando un’area oggi verde e una zona a Nord – da sempre popolare e a ridosso del centro storico – da riqualificare, interessata cioè dal “Piano periferie” che, con un finanziamento di 18 milioni di euro pubblici, dovrebbe riuscire a smuovere investimenti complessivi di poco inferiori ai 60 milioni di euro.

Progetti sostanziosi dunque. Se la costruzione delle palazzine in località Vaciglio ha visto fin da subito l’opposizione dei cittadini manifestarsi con una biciclettata di protesta scaturita dal comitato e dal sito #mobastacemento, le vicende circa la zona Nord risultano un’attimino più complesse. Innanzitutto, come spesso accade per progetti di riqualificazione di questa portata, abbiamo un accompagnamento e un’attenzione mediatica costante e non del tutto disinteressata, televisioni comprese. Un servizio di Presa Diretta, questa settimana, ad esempio, che descriveva come “modello” positivo la “bonifica” dell’area Nord ha destato non poco scalpore e non poca ironia giustificata verso un prodotto che sembrava tagliato su misura per fare da marchetta al sindaco Muzzarelli.

gentista

Commento di “gentista” “esasperato” sul servizio di Presa Diretta in calce al comitato #mobastacemento.

Tuttavia, in tale contesto, è bene ricordare come i riflettori delle tv sulla zona si fossero già accesi, RaiUno, Rete4 e La7, infatti, si erano già affacciate al quartiere in chiave anti-degrado. Per comprendere a pieno quello che sta succedendo, bisogna andare indietro di qualche mese, all’estate, quando l’imminente arrivo di affari e denari si inizia a respirare nell’aria. Infatti, mentre sui portali istituzionali vanno in scena i “bandi pubblici per la riqualificazione degli esercizi commerciali”, andati poi tutti deserti, sui giornali e sulle televisioni, locali e non, l’area interessata è oggetto di un’attenzione costante. Dall’inizio dell’estate non c’è giorno in cui manchi, sulla stampa locale, un qualche trafiletto o una qualche denuncia della situazione in cui versa la zona attorno a viale Gramsci. Articoli e servizi che riportano le opinioni di cittadini indignati aprono la strada alla cronaca di operazioni di polizia vere e proprie che amplificano la rappresentazione giornalistica del problema. Retate, blitz, fitti controlli sulla componente straniera del quartiere e sui negozi da questa frequentati si fanno assidui; non mancano i giustizieri-fai-da-te, anch’essi tributati di grande risalto dalla stampa locale, che improvvisano delazioni fotodocumentate del traffico di stupefacenti. Il giorno seguente poi basta aprire un giornale per trovare, in bella mostra, il pezzo giornalistico che rende conto delle operazioni e che svolge la duplice funzione di: a. dare l’impressione di un potere dinamico e deciso vicino al cittadino, b. offrire una valvola di sfogo “pubblica” al sentimento dei molti commentatori che, sui siti delle testate locali, propugnano il bisogno d’ordine e la necessità di misure energiche per la sicurezza. carli Senza illusioni, i germi del consumo e del desiderio di sicurezza non ci sono affatto estranei ma veramente risulta tutto così semplice? La città, descritta in questa maniera, diventa più un organismo mediaticamente modificato che un qualcosa di genuino.

Se indossassimo per un attimo le lenti della gentrificazione, vale a dire quella brutta parola che sta ad indicare la “produzione di spazio urbano per utenti sempre più abbienti” mediante la sostituzione/espulsione dei residenti e delle attività commerciali a questi legate, potremmo cominciare a vederci un po’ più chiaro. Ora affacciamoci un secondo al nostro osservatorio prediletto a Modena, Viale Gramsci attraverso le parole di una residente“Piuttosto stamattina riflettevo sull’attacco mediatico che in questo periodo il mio povero e martoriato quartiere sta subendo. “Ennesima retata della polizia in Viale Gramsci”, “Ennesimo caso di spaccio a Viale Gramsci”, “Ancora bivacchi sulle panchine di viale Gramsci”, “Emergenza Viale Gramsci”. E mi verrebbe da ringraziare tutti quegli asini, fannulloni, incompetenti giornalisti che sanno solo ripetere come pappagalli le solite frasi ad effetto senza mai andare nel cuore delle cose. Quello del giornalista è un mestiere serio e tanti dovrebbero cambiare strada. Dovrebbero gettare la spugna tutti quei pusillanimi che non hanno il coraggio di approfondire. Che non capiscono le diaboliche strategie politiche che si nascondono dietro i fenomeni mediatici. A nessuno di loro è passato per la testa che in questo periodo l’amministrazione comunale di Modena sta cercando di far approvare un progetto milionario di riqualificazione di questa zona. Che sarà assegnato un goloso appalto per far costruire l’ennesima e ridicola piazza con l’ennesima e ridicola fontana zampillante per “abbellire la zona”. Come se le piazze e le fontane zampillanti risolvessero il problema della povertà, dell’emarginazione, del disagio sociale in cui vivono tante famiglie. Vengano i signori giornalisti a conoscere il vero volto del mio viale. A mischiarsi tra la gente. Si certo, ci sono certi africani che rompono il cazzo. E ci sono anche certi meridionali razzisti che rompono il cazzo agli africani. Ma Viale Gramsci è anche un luogo meraviglioso dove i bambini, già dall’asilo nido (il migliore di Modena per servizi offerti) hanno la possibilità di crescere e confrontarsi con tante etnie. Di imparare a dire “ciao” in italiano, in arabo, in hindi, in rumeno, in cinese. Viale Gramsci è un meraviglioso e coloratissimo quartiere multietnico, dove si sente il profumo dei tortellini mischiato a quello del kebab, del riso al curry, dei peperoni fritti, della salsiccia alla griglia e del pesce fritto. Vengano i signori giornalisti a visitare interi palazzi affittati in nero agli immigrati. E a conoscere gli africani utilizzati ancora una volta per fare propaganda politica. Che mi verrebbe voglia di presentarmi io in quelle ridicole redazioni di giornali a scrivere qualcosa che abbia un senso. Ridicoli.

Viale Gramsci è oggi il miglior punto di osservazione per vedere come la gestione locale del territorio abbia evocato quelle “potenze sotterranee” ormai incontrollabili, che determinano esse stesse le contraddizioni interne al potere. Senza una attenta analisi di queste contraddizioni, e delle potenze sotterranee ad esse connesse, rischia di restare poco incisiva qualsiasi ipotesi di riorganizzazione di questo dissenso in vista di una redistribuzione del potere in città.

Il Piano Periferie, a livello nazionale, prende vita durante la campagna elettorale delle Elezioni Amministrative del Giugno 2016. “Prima a Venezia e Trieste, poi in Calabria per l’inaugurazione di un elettrodotto Terna: in questo “sabato italiano” Matteo Renzi ha annunciato 500 milioni di euro per le periferie. “Sono operativi, li ho fermati stamani mattina. Toccherà ai sindaci fare dei progetti credibili. La credibilità dei progetti diventa occasione per fare investimenti”, afferma il premier“. Nella stessa occasione Renzi parla di chiudere i lavori della “Salerno-Reggio Calabria”, di “ponte sullo Stretto di Messina”, di “Alta Velocità”. L’immagine delle periferie evocata è quella di territori ai margini dello sviluppo e della ricchezza, da rivitalizzare grazie a grandi opere pubbliche; si parla genericamente di Meridione che “cambia verso” ma anche di quartieri delle città del Nord. La previsione di Renzi è particolarmente armonica con le visioni nostrane: “Sempre più persone andranno a vivere in cittàha aggiuntoO riusciamo a creare spazi di vita comuni, o altrimenti ci riduciamo a creare quartieri dormitorio“. La stessa soddisfazione è mostrata un anno dopo, nonostante l’avvicendamento al governo: “Grazie ai governi Renzi e Gentiloni è stato rispettato un impegno preciso con i sindaci italiani. Ora arrivano risorse rilevanti per la riqualificazione urbana: un’azione rilevante anche sul piano della sicurezza e delle politiche sociali nelle zone più degradate delle nostre città. Oggi si chiude un percorso importante”. Lo dice il responsabile enti locali Pd Matteo Ricci, con riferimento al via libera del Consiglio dei ministri alla seconda tranche di finanziamento del bando periferie. Ottocento milioni dal Fondo Investimenti che “rientrano nei due miliardi e 100 milioni complessivi” e che “consentiranno di finanziare tutti i 120 progetti presentati dai Comuni e dalle Città metropolitane“. Ricci osserva che “oltre a conferire un nuovo disegno urbanistico alle zone più disagiate, si avvieranno importanti investimenti che avranno ricadute significative anche a livello economico”

L’imperativo è dunque cambiare volto a quelle periferie da cui a dicembre era salito il NO referendario a disturbare i piani di Renzi. Ma cosa significa questo nel progetto “credibile” (in realtà sono stati finanziati tutti i progetti presentati) proposto dal Comune di Modena? Nella Relazione Generale “Interventi per la riqualificazione urbana e la sicurezza nella periferia Nord della Città di Modena – Fascia Ferroviaria” si legge che gli interventi sono caratterizzati da “elementi in grado di rendere attrattiva l’area per nuova utenza in grado di bilanciare gli elementi di debolezza e vulnerabilità di quella attuale (mix sociale)“. Bisogna in pratica cambiare la composizione sociale di un quartiere che, su circa 48.000 abitanti, ne presenta circa 18.000 caratterizzati da “elementi di fragilità”. La popolazione del quartiere infatti “presenta una più alta percentuale di popolazione straniera (24,2% rispetto al 12,9% media cittadina); un reddito medio inferiore alla media cittadina, un tasso di disoccupazione più alto di oltre tre punti percentuali“. C’è dunque bisogno di creare “mix sociale con arrivo di nuovi residenti in grado di modificare l’attuale profilo socio demografico problematico“. “Più servizi e più qualità urbana” significa creare “nuovi stili di vita e relazioni” nel quartiere, a cui faranno da contorno i vari interventi previsti dal bando in termini di “videosorveglianza”, “controllo sociale diffuso”, “promozione di regole di convivenza civile”. La nuova composizione sociale dovrebbe far parte di quella “c.d. “zona grigia” che non trova risposte né nell’edilizia residenziale pubblica tradizionale né sul libero mercato”: 156 appartamenti complessivi, di cui 123 di housing agevolato e convenzionato (destinato a favorire l’acquisto di prima casa per giovani coppie) e 33 “calmierati”, destinati ad “anziani ed altre tipologie familiari”. Oltre a nuove sedi di servizi pubblici (scuola primaria, università, centro disabili, medicina dello sport e casa della salute), la “piazza” verso cui spostare il baricentro del quartiere sarà quella immersa nel nuovo “complesso di forma circolare di circa 12.000mq di superficie commerciale”, così da finalmente “innescare una spirale positiva di frequentazione da parte della residenza del quartiere“.

Make smart people to make smart city.” Quella che potrebbe sembrare come l’ultima frontiera del marketing urbano è in realtà qualcosa di molto concreto. Senza capitale umano [sic] non vi è alcuna città smart proiettata verso il futuro e con lo sguardo connesso sul mondo ma, d’altro canto, senza lo spazio adeguato non si attrae alcun capitale umano degno di nota. Fabbricare lo spazio urbano è dunque indubbiamente più semplice che creare questo capitale umano, questa nuova razza [sic] di esseri intelligenti ed economicamente dinamici, questi nuovi abitanti qualitativamente superiori. Tra lo scadere dell’800 e l’inizio del ‘900, in Brasile, cominciarono a circolare bizzarre teorie pseudoeconomiche che postulavano che per lo sviluppo economico del paese occorresse il branqueamento, testualmente lo sbiancamento della popolazione. In pratica si incentivava l’immigrazione bianca europea, in particolare dalla Germania, per fare da contraltare ad una popolazione perlopiù nera di ex schiavi (l’abolizione della schiavitù in Brasile è datata 1888) considerati dalle teorie razziali e del determinismo biologico di allora troppo arretrata ad un paese civile. Oggi si tende a credere che qualche hipster con in tasca l’abbonamento alla palestra possa essere la chiave di volta per l’Olimpo della crescita. Di pari passo, c’è chi continua a credere che siano statati abbandonati quei meccanismi del pensiero tali per cui gli esseri umani possano essere classificati per qualità – quasi come fossero cavalli e non persone – e anche costoro o sono totalmente in malafede o si trovano ugualmente in un fosso fuori strada.

22552788_1873429786008507_6596840189362857109_n“Il rispetto del decoro è lo show in cui barboni, alcolizzati, prostitute, mendicanti, lunatici, spacciatori, tossici, imbrattatori e lavavetri vengono progressivamente abbandonati dal welfare e illuminati dai fari delle volanti con il duplice obiettivo di criminalizzare la povertà e omologare tutto il resto. […] La domanda davvero decisiva l’ha posta Tamar Pitch: avete mai sentito dire della casa di un ricco che è decorosa? La risposta è no, perché il decoro non è un problema che riguarda il ricco. Aggiungiamo che la sua casa può eventualmente risultare pacchiana, volgare o cafona, giudizi con i quali il valore anche estetico della ricchezza si determina in rapporto all’inferiorizzazione della povertà (il patulum di patulanum cioè pacchiano è proprio il pascolo, il vulgus è la plebe e per quanto l’etimologia di cafone rimanga incerta rinvia senz’altro a un’origine contadina). Il decoro quindi non serve solo «per tenere a bada chi non ce la fa», ma anche per mistificare la dialettica sociale nel registro di chi sta sopra perché meritevole e di chi soccombe perché se l’è cercata.” (Da qua) L’attualità neoliberale dona ai ricchi la possibilità di essere dispensati tranquillamente dalle regole imposte del decoro così come gli concede il lusso dell’ostentazione, di uno stile di vita che esibisce con noncuranza l’assenza dei limiti richiesti a tutti gli altri. Il rispetto del decoro è un dispositivo che si applica esclusivamente verso il basso, verso chi non ce la fa, verso i perdenti, i poco meritevoli e in generale verso tutti coloro i quali non sono facilmente indirizzati e indirizzabili al consumo di merce. Rimanendo in tema di casa e di decoro, proprio in questi giorni, sul Resto del Carlino, il presidente provinciale della Fimaa-Confcommercio ha parlato del valore degli immobili: “Negli ultimi cinque anni – al netto della crisi – ci sono soluzioni che costano anche il 20/25% in meno”, dunque, oltre alla riqualificazione bisognerà provvedere “all’installazione di nuove telecamere e all’aumento dei controlli delle forze dell’ordine“.

Eppure, si potrebbe anche dire che “l’Italia è l’unico paese europeo, a parte Cipro, in cui i prezzi delle case sono continuati a scendere anche nel 2016″, come afferma qua Confedilizia, e che tra la crisi internazionale iniziata nel 2008 e la tassazione introdotta a partire dal 2012, di spaccio, bivacchi e negozi etnici non vi è alcuna traccia.

Ma proviamo un secondo a rovesciare la prospettiva. Abbiamo un ex quartiere popolare a ridosso del centro storico ancora autenticamente popolare che viene descritto come in decadenza, afflitto dal degrado e in balia della microcriminalità (per la cronaca: gli spacciatori al parco XXII aprile sono presenti da almeno vent’anni). I primi ad arrivare sono del “genio militare”, la macchina mediatica, quella che prepara il terreno, cioè residenti e opinione pubblica, all’operazione di “riconquista” del territorio, alla “missione civilizzatrice” alla “riqualificazione del quartiere”. Al contempo, le sirene illuminate delle volanti fanno incetta dei “marginali”: spacciatori, squattrinati, consumatori di birre in bottiglia fuori dai negozietti etnici e ragazzini. Arrivano i capitali e scatta l’operazione. Data Center,  nuove illuminazioni a Led e videosorveglianza, lentamente le attività commerciali “di base” vengono sostituite, cambiano le abitudini e le condotte, gli abitanti sono privati dei loro luoghi e di ciò che considerano “familiare”, avanza uno spazio omogeneo, piatto che disarticola le relazioni esistenti e destruttura i rapporti sociali. Se l’operazione economico-speculativa riesce, saranno proprio gli abitanti del quartiere ad esserne le vittime, de-territorializzati o costretti alla fuga in altre zone della città.

«La “rigenerazione” rappresenta il core business degli anni futuri. Il bene durevole per eccellenza, che non a caso definiamo e distinguiamo come immobile, entra nel gioco dello spreco consumistico e diventa labile, deperibile, riproducibile. […] La dinamica è lineare: riconverto zone centrali demolendo e ricostruendo, in più costruisco in periferia su terreni vergini sotto l’ombrello dell’interesse pubblico, accorcio in questo modo il ciclo di vita dei manufatti e introduco l’idea della loro precarietà così mi garantisco un mercato imperituro. Un dispositivo perfetto.» (Paola Bonora, geografa, al convegno Fino alla fine del suolo, Bologna, 3 febbraio 2017) (Da qua)

Eppure la città pulita e asettica che si vorrebbe vedere giusto come vetrina per beni di consumo è, già oggi, la stessa che è diventata “capitale” degli sfratti a livello nazionale, 1 ogni 172 famiglie residenti, l’incidenza più alta in Italia. Un’immagine non proprio idilliaca per il brand targato Modena. Però, c’è da dire, che anche i poveri hanno un proprio mercato in città, il problema è che, spesso, diventano essi stessi la merce in vendita. costellazioni 002 (1) L’esempio più eclatante, in questo senso a Modena, è rappresentato dalla Residenza Costellazioni. Inizialmente realizzata per accogliere una popolazione di studenti universitari oggi ospita un po’ di tutto, dai richiedenti asilo ai senza fissa dimora del Piano emergenza freddo fino ad arrivare alle famiglie sfrattate che possono soggiornarvi “anche per diversi anni nell’attesa di una differente situazione economica che permetta loro una sistemazione differente”. Ma vediamo un po’ come funziona (prendiamo da qua):  Nel frattempo il costo di questa “emergenza” per le casse comunali si attesta intorno ai 400 euro mensili (parliamo di monolocali di 20 mq a nucleo familiare!). Così, sull’onda “dell’emergenza” cresce il numero di residence e appartamenti dedicati a progetti di co-housing, alcuni dei quali anche costituiti all’interno del patrimonio dell’Erp (Edilizia Residenziale Pubblica) inutilizzato che viene così reimmesso a valore con un’altra funzione. E’ il caso degli appartamenti di via Martinelli che “pur essendo ERP, da anni non venivano assegnati sia per le ridotte metrature sia per la condizione impiantistica e strutturale”.  Non solo. “Essendo l’accumulo di punti per la graduatoria Erp dipendente dal tempo trascorso sotto un normale contratto di locazione, la permanenza negli spazi di emergenza abitativa non porta alla prospettiva di un ingresso in casa popolare.”

In pratica, un’emergenza senza mai fine. Un “fine pena mai”. Se vi capitasse di parlare con qualcuno che, in carne ed ossa, è finito dentro circuiti assistenziali di questo tipo comprendereste meglio l’affermazione. Se c’è una comunanza nelle descrizioni delle vicende personali di coloro i quali hanno vissuto simili percorsi è sicuramente quella di riconoscere, in un tipo di assistenza così intesa, una sorta di sistema penale di secondo livello. Non c’è carcere ma non vi è nemmeno un welfare, un’assistenza che permetta ad una vita di poter ricominciare, ed è forte la sensazione, in coloro che l’hanno vissuta, di dover quasi scontare una pena per una colpa, per un delitto personale inenarrabile: la povertà e la consapevolezza di essere immersi in un circuito di produzione di profitti la cui merce principale è la tua vita a “consumo minimo” e a “basso costo”.

Le potenze sotterranee evocate dallo stregone che non è più in grado di dominarle, dalle speculazioni edilizie arrivano fin quaggiù, sono “la risposta di razza e di classe del capitalismo neoliberale globale ai meccanismi di esclusione sociale generati dalla sua stessa logica di accumulazione.” Un “accumulazione per spossessamento” che vede nell’industria della punizione una delle sue protesi più trainanti e influenti (Da qua). E, visto da quaggiù, un tessuto riproduttivo di questo tipo non ha proprio più bisogno delle finzioni “democratiche”, anche verbali.

Parco XXII aprile, viale Gramsci e moniti da una Grecia del 2012….

“A livello europeo, una strategia di questo tipo è stata sperimentata con successo da Alba Dorata. Prima di approdare in parlamento nel 2012, il partito neonazista greco aveva cominciato a raccogliere consensi ad Atene mascherandosi dietro sedicenti “comitati cittadini”. Il caso più emblematico è quello di Agios Panteleimonas, un quartiere relativamente centrale con una forte concentrazione di migranti, dove squadracce di cittadini “apolitici” avevano chiuso il parco giochi della piazza principale e inaugurato una sanguinosa stagione di caccia allo straniero” Leonardo Bianchi,  La Gente. Viaggio nell’Italia del risentimento. Minimum fax, 2017