Di questi tempi….

Posted on 30 marzo 2017

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Quello che il mondo intero ci presenta oggi nelle maschere di Trump, Le Pen, Erdogan o chi per lui, è il conto di una rivoluzione fallita, quella che avrebbe dovuto seguire le insurrezioni e le rivolte del 2010-2011. La sconfitta delle “primavere arabe”, di Occupy, degli Indignados, del movimento contro la riforma delle pensioni in Francia, dei moti romani e londinesi e delle banlieue, eventi che non sono mai riusciti a oltrepassare lo stadio della rivolta, ha avuto come risultato politico il fatto che la reazione – si presenti essa nelle vesti laico-pagane dei fascisti nostrani o in quelli esotico-religiose di Daesch – sia riuscita a infiltrarsi e impadronirsi di buona parte dell’energia rivoluzionaria che in quegli anni si era espressa un po’ ovunque.
(Da qua)

Di questi tempi c’è sempre un fascismo in più, è quello della porta accanto. Funziona un po’ come per i movimenti per i quali quello del vicino è sempre il migliore – “bisogna fare come in Francia” , “loro sì che sanno come si fa”, “mica come qua da noi” – così quando bussano alla porta non sempre si riconosce chiaramente il proprio visitatore.

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Tuttavia, per comprendere al meglio la nostra posizione quando della terra in lontananza non appaiono tracce, abbiamo bisogno di coordinate per quanto parziali e approssimative. Così, oltre che “a lato”, in questi giorni, si fa largo il bisogno di guardare “indietro” con attenzione; a dove certe parole cominciarono il proprio percorso, agli inizi quando le loro forze non erano ancora consolidate e non tutte le accezioni che oggi gli attribuiamo definite.

L’Italia odierna che sonnecchia nell’apatia e nell’omologazione è lontanissima da ciò che la storiografia ha definito “biennio rosso”, ciononostante questi giorni – e per questi giorni intendiamo il tempo trascorso tra i giorni immediatamente precedenti alla manifestazione di Napoli di sabato 11 marzo e la giornata del 25 marzo contro la celebrazione dei 60 anni dei Trattati di Roma – ne richiamano altri, propri di quel periodo:

Siamo nell’Italia del 1919, nell’aprile del 1919 per l’esattezza e le parole che seguono si trovano nel volume Le origini del fascismo in Italia di Gaetano Salvemini. “Il giorno 9, la Camera del Lavoro di Roma proclama uno sciopero generale per la giornata seguente che avrebbe dovuto unire la protesta contro la Conferenza della Pace di Parigi che non offriva una “pronta e giusta pace” e le “immediate rivendicazione proletarie”. Lo scioperò generale cessò dopo ventiquattro ore, cioè fu una semplice parata di forze rivoluzionarie e non l’inizio di un movimento rivoluzionario da parte di queste stesse forze. […] Nel pomeriggio, mentre la maggior parte degli scioperanti era a casa a riposare, o in campagna a prendere una boccata d’aria, alcune centinaia di massimalisti […] cercarono di raggiungere il centro della città, al seguito di una bandiera rossa. Un cordone di soldati li fermò, la polizia li sciolse, e diverse persone furono arrestate e subito rilasciate. Immediatamente, l’associazione combattenti, che a Roma era controllata dai nazionalisti, organizzò una dimostrazione nel nel centro della città in onore dell’esercito che aveva mantenuto l’ordine. Scelsero proprio l’ora in cui gli impiegati dei ministeri uscivano dagli uffici e non trovavano tram per andare a casa. […] Si formò un corteo, al quale parteciparono molti ufficiali in uniforme; esso si diresse verso il ministero della Guerra […] Una commissione capeggiata dal deputato nazionalista di Roma dal ministro della Guerra, al quale rivolse “l’omaggio del popolo di Roma”. […] Durante tutta la dimostrazione il “proletariato rivoluzionario” non dette segno di vita.

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Tre giorni dopo, il 13 aprile 1919 a Milano, i massimalisti organizzarono un comizio all’aperto […] dimostrando poco buon senso, la polizia si accinse a sciogliere il comizio; cominciarono a volare le prime pietre; la polizia rispose sparando dei colpi di rivoltella. Ci furono morti e feriti […] Per protesta contro il comportamento della polizia, la federazione milanese del partito socialista e la Camera del lavoro proclamarono uno sciopero generale per il 15 aprile. […] Il 15 aprile tutti i servizi pubblici furono arrestati, tutte le fabbriche rimasero ferme; la mattinata procedette con calma. Nel pomeriggio, all’arena, fuori dal centro, si tenne un comizio al quale parteciparono circa 50.000 persone; tutti gli oratori, sia i socialisti di destra che i massimalisti, lodarono la calma e la compattezza con cui si svolgeva la protesta, e raccomandarono che il lavoro venisse ripreso il giorno dopo. […] Mentre si svolgeva questa manifestazione, gruppi di ufficiali in divisa, “arditi” in divisa, futuristi e fascisti armati di rivoltelle, si raccoglievano nel centro della città agitando bandiere nazionali. […] Dopo che il comizio socialista si era sciolto, una parte della folla che ostentava bandiere rosse e nere e ritratti di Lenin e dell’anarchico Malatesta si mise in marcia verso il centro della città. […] Ai socialisti era sempre stato proibito tenere comizi o dimostrazioni nel centro; questa volta si permise che la folla avanzasse verso i suoi nemici. Le due dimostrazioni si incontrarono; vi furono spari e vennero uccise tre persone che non c’entravano niente; finalmente i pompieri con potenti getti d’acqua dispersero i combattenti di ambo le parti. A questo punto, un gruppo capeggiato da Marinetti e dall'”ardito” Ferruccio Vecchi si recò nella strada dove erano gli uffici di redazione e la tipografia del quotidiano socialista Avanti!; la polizia e i soldati che vi prestavano servizio lasciarono mano libera agli attaccanti; il personale del giornale, colto di sorpresa, tentò di resistere; un soldato venne ucciso; sopraffatti, scapparono da una porta sul retro; i locali furono incendiati. Persone che sapevano bene quello che dovevano fare distrussero metodicamente gli indirizzi degli abbonati e misero fuori uso le linotypes e le macchine per la stampa. L’insegna del giornale incendiato fu poi, secondo Marinetti, donata a Mussolini nella redazione del Popolo d’Italia. Quando la notizia giunse a Roma si tentò in tutti i modi di far calmare le acque mandando a Milano due ministri “per compiere una esauriente inchiesta”. Uno era il ministro della Guerra, l’altro quello dei Lavori Pubblici Bonomi, un socialista che nel 1920 e 1921 fornì al movimento fascista armi, ufficiali e munizioni. Il 16 aprile a Milano, convocò ad una riunione al municipio dirigenti sindacali e deputati socialisti; i socialisti accusarono la polizia di essere i responsabili dei fatti del giorno prima, e alcuni furono tanto stupidi da lamentare che i fascisti di Mussolini conducessero una campagna di “violenza e di odio”, chiedendo che venissero dichiarati fuori della legge. A una richiesta tanto “illiberale” Bonomi fu profondamente scandalizzato; il governo non avrebbe mai preso “altre misure restrittive della libertà di propaganda e di azione”

La storia vera di quegli anni si può riassumere con le parole di uno studioso inglese: “Vinsero i più crudeli.” […] Nei fatti di Roma e Milano dell’aprile del 1919 si trovano condensati i tratti fondamentali di tutti i disordini “rivoluzionari” che ebbero luogo in Italia dal 1919 al 1922. Non solo. Un’altra caratteristica dei fatti di Milano e di Roma, nell’aprile del 1919, fu la partecipazione di ufficiali dell’esercito alle dimostrazioni di piazza “antibolsceviche”. […] Il regolamento militare punisce il soldato che partecipa a dimostrazioni politiche di qualsiasi specie […] a Bologna, un soldato che prendeva parte a una manifestazione socialista venne arrestato […] ma nessun ufficiale venne mai ripreso o punito per aver partecipato a dimostrazioni “patriottiche” e “antibolsceviche” e per di più il ministro della Guerra non pensava vi fosse alcun motivo di scoraggiare “battaglie decisive” come quella del 15 aprile. [1]

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Sabato scorso, a Roma, mentre il corteo Eurostop veniva caricato senza alcun motivo, nel centro della città i fascisti bruciavano tranquillamente in via dei Fori una bandiera dell’Ue, all’Esquilino sfilavano facendo il saluto romano, minacciando un migrante nero sotto gli occhi di agenti. (Da qua)

Il rischio attuale dunque, è che a distanza di quasi cent’anni le nostre giornate di Napoli e Roma segnino un percorso piuttosto simile. Un percorso evidente. Chiaro a qualsiasi essere umano che abbia anche solo il coraggio di pensare oltre a quello di alzare lo sguardo e per qualche momento.

La seconda coordinata, quella “a lato”, ce la fornisce un’intervista a Serge Quadruppani del 2012:

La politica della paura è altrettanto vecchia che la stessa politica. Consiste nell’utilizzare la paura come metodo di governo. Ciononostante questa ha subito una notevole intensificazione negli ultimi anni […] Questo nemico, presentato oggi come “il terrorista”, è una formula riproducibile infinitamente nei riguardi di qualunque tipo di nemico, come abbiamo potuto constatare in Francia con la moltiplicazione delle legge contro l’insicurezza dal 2001 in poi. Il nemico è: l’abitante dei quartieri popolari, l’immigrante, la gioventù, il bambino problematico a scuola, ecc… Si tratta sempre della stessa cosa, di provocare la paura nella popolazione affinché questa si raggruppi sotto l’ala protettrice dello Stato. […] 

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A poche settimane dalle elezioni presidenziali d’Oltralpe (siamo nel 2012), Quadruppani assicura che, tanto su questo come in altri punti, la sinistra istituzionale e la destra in quel paese “non sono molto diverse” e che i grossi cambiamenti nella storia non si sono mai realizzati attraverso un suffragio elettorale.

pdBisogna ricordare che la prima legge di sicurezza [dpo l’11-S], la Legge di Sicurezza Quotidiana [Loi de Sécurité Quotidienne] fu implementata durante un governo di sinistra [di Lionel Jospin]. In seguito arrivò [il presidente] Nicolas Sarkozy che ne ha aggiunte molte altre, ma la “sinistra istituzionale” [PS] ha aderito completamente a questa nuova dottrina rappresentata da personaggi come Alain Bauer che è uno degli ideologi di questa “follia securitaria” che ha invaso il mondo intero e la Francia in particolare. Su questo tema e molti altri, la sinistra non è molto diversa dalla destra. Un po’ di tempo fa il socialismo francese sembrava essere in cammino verso una vera riforma, ma questa possibilità è svanita. Como disse Margaret Tatcher: non c’è alternativa dentro al capitalismo. Per questo l’unica alternativa è uscire dal capitalismo, e questa soluzione non sta né nel programma né nell’essenza della sinistra istituzionale francese.

differenceSiamo arrivati così a un mondo in cui tutti vigilano tutti. E non lo dico in senso figurato, visto che esiste in Francia una legge che spinge il cittadino a vigilare sul suo vicino. Si tratta dell’operazione Voisin Vigilant (Vicino Vigilante), che include un delegato di quartiere incaricato di avvisare la Gendarmeria di ogni movimento sospetto nella zona. Questa politica [di vigilanza cittadina] è molto sviluppata in Inghilterra. D’altro canto c’è una volontà esplicita di far sparire le leggi specifiche per i minorenni. Leggi che puntano ad abbassare l’età legale affinché un minore possa essere spedito in prigione, la creazione di centri penitenziari chiusi per i giovani. Questo lo vediamo oggi in Francia e anche in Gran Bretagna. (Attualmente anche in Italia vi è il serio rischio che si smantellino i tribunali minorili) L’Inghilterra è senza dubbio uno dei paesi con più minorenni detenuti al mondo. Non va dimenticato che fino a pochi anni prima dell’inizio del secolo XX in Inghilterra si impiccavano i bambini.  […]

– E’ la dottrina della “Guerra Preventiva” di George W. Bush però applicata alla stessa società occidentale…

– Esattamente, si tratta dell’adattamento a livello interno del concetto di “Guerra Preventiva”.

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Però, se facciamo una statistica, capiamo molto bene che c’è più gente che è morta di freddo per le strade di Parigi che per attentati terroristi. La cosa grave di questa situazione è abituarsi a quella presenza perché il giorno in cui aumenterà in modo notevole non saremo allerta per accorgerci che ci sono militari in luoghi in cui non dovrebbero essercene, e questo di per sé sarebbe molto grave.”

Di militari in luoghi in cui non dovrebbero essercene cominciamo ad averne tanti purtroppo. Senza badarci troppo, in questi anni, abbiamo osservato ad un rinnovo dell’arredo urbano nelle nostre città nelle quali blindati e uniformi coi fucili d’assalto non sono più qualcosa di così estraneo. Fino a poco tempo fa, per sottolineare il carattere illiberale e antidemocratico di alcuni Paesi (Cuba ad esempio), si sottolineava proprio la presenza dei militari nelle strade. Eh l’erba del vicino…. Ora dove non bastano polizia, carabinieri, finanza e marina militare arrivano addirittura i contractor, sì proprio quelli che pagano per combattere in Iraq, giusto in Salento in questi giorni.

Da sabato scorso (25 marzo) tuttavia ci sembra che sia stato aggiunto un tassello non marginale a questa narrazione distopica.

In primis vi è stata una stampa precipitata ancor più a fondo se possibile di quel 77° posto (sotto Botswana e Nicaragua) per libertà d’informazione che la pone tra le ultime del continente (a parte Grecia Cipro e Bulgaria) e che sembra definitivamente trasformata in un mero ripetitore del verbo del potere. Asservita oltre il ridicolo.

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L’accomunare scientificamente e sistematicamente il terrorismo jahadista a delle manifestazioni è un operazione che rientra di diritto in una forma di propaganda in modalità Goebbels. Testate nazionali che parlano tranquillamente di più di 2000 attivisti controllati preventivamente la notte prima della manifestazione come se nulla fosse, come se si fosse cancellato definitivamente il confine tra uno Stato di diritto e una dittatura militare. Oppure notizie false come quella del fermo di 170 anarchici francesi pompata da tutti i media mainstream nel grande calderone della tensione prima ancora di verificarne la veridicità. Beffardamente, persino dalle parti della questura arriveranno a parlare di “eccessivo allarmismo” da parte dei giornalisti, come se media e apparato repressivo non avessero giocato in combina ogni rimpallo. Come se direttori e capiredattori non fossero stati invitati in anticipo a bombardare di un allarmismo mai visto prima (con Isis e black bloc ficcati nello stesso ordine di discorso cancellando di fatto a distinzione tra una strage e un bancomat divelto) un opinione pubblica sempre più intossicata e ignorante. A tratti si è raggiunto addirittura il grottesco.

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Stato di emergenza all’italiana

“Nel gennaio 2015, dopo gli attacchi a Charlie Hebdo, le autorità francesi decisero di dichiarare “l’état d’urgence”, una forma di stato di eccezione che dà ampi poteri alle autorità amministrative per gestire l’ordine pubblico. Tra le misure previste, la possibilità di vietare manifestazioni, effettuare perquisizioni e fermi senza mandato, emettere misure di limitazione della libertà di movimento come l’obbligo di firma o l’allontanamento dal territorio. Nonostante le vive emozioni suscitate dagli attentati, un ampio dibattito pubblico si sviluppò allora su quanto un’estensione cosi evidente del potere delle forze dell’ordine non snaturasse l’ordinamento democratico e repubblicano. Certo, assicurava il governo, le misure erano destinate esclusivamente agli estremisti islamici ma diverse voci obiettarono che potevano facilmente essere estese prima agli attivisti politici e poi ai comuni cittadini.
Dopo gli attentati di Londra, il Ministro Minniti ha deciso mutatis mutandis che era il momento di decretare “l’urgence” anche nel nostro paese. Presentato sotto forma di un’efficiente macchina tecnico-organizzativa e quindi scevra di ogni politicità, la misura non ha suscitato alcuna polarizzazione all’interno della cosiddetta “società civile” che anzi, in toto, l’ha accolta a braccia aperte prima e ne ha lodato l’efficacia poi.” (Da qua) Che già da gennaio si procedesse a ritmo serrato verso uno Stato d’emergenza all’italiana lo si era notato già a tempo debito, con la manifestazione di Roma si può affermare con sufficiente certezza di essere definitivamente  entrati in una nuova fase.

Come ha riportato giustamente Roberto Ciccarelli su il Manifesto del 26 marzo:

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“La sospensione del diritto di manifestare è stata dichiarata ieri a Roma, dentro e fuori il raccordo anulare. Una fortezza ampia decine di chilometri quadrati ha inglobato la Capitale per proteggere capi di stati e primi ministri europei asserragliati nel Campidoglio, dietro le grate e una quarantina di mezzi anti-sommossa schierati in massa in via Petroselli. Duemila persone sono state controllate, trenta i fogli di via che hanno colpito altrettanti manifestanti, sia al corteo del mattino «La nostra Europa», sia a quello del pomeriggio «Eurostop». In possesso dei manifestanti sarebbero stati trovati pericolose felpe con il cappuccio, kway, fumogeni. […] Il corteo si è snodato velocemente tra le stradine di Testaccio e, giunto sul lungo Tevere ha incontrato il primo schieramento di Carabinieri sul ponte Sublicio. Tre file di camionette e di uomini rivestiti di armature, caschi calati sul volto. Una volta defluita la testa del corteo, tra bandiere del sindacato di base Usb e quelle dei movimenti per la casa, in coda al corteo lo spezzone «generazione ingovernabile» ha indugiato per qualche minuto sul lungotevere Aventino. A quel punto si è creata una distanza di almeno cinque-seicento metri con il resto del corteo che già svoltava per Bocca della Verità verso il Circo Massimo. Lo spezzone di un migliaio di persone era immobile, non aveva alcuna intenzione offensiva, nessuno indossava caschi o foulard, e non ha tentato alcuna deviazione. Dietro i carabinieri del ponte Sublicio ostruivano la via di fuga. All’improvviso, dalla curva del Circo Massimo, è spuntato un camion idrante seguito da due camionette e agenti in piena carica. Sul lungotevere si è avvicinato minaccioso un camion idrante e altri agenti con i manganelli. Un’operazione immotivata che ha circondato lo spezzone più stigmatizzato. La foga della carica ha spaventato manifestanti inermi che hanno provato a scappare per la salita di Vicolo di Rocca Savella inseguiti da agenti con caschi e manganelli. Un’operazione che ai presenti, e in diretta Tv, è sembrata del tutto gratuita. […] Per la questura di Roma è stato «sventato un chiaro progetto di devastazione della città». Più probabilmente è stata sdoganata la presunzione di colpevolezza basata su suggestioni mediatiche e non fatti.”

Ora, se la cronaca del corteo rientra in una gestione per così dire europea della piazza (e l’accezione non è da considerarsi del tutto positiva, basterebbe andare a vedere a cosa ci si riferisce con il termine tecnico kettling, o nasse per dirla alla francese), con la polizia che circonda da tutti i lati i manifestanti, diverso il discorso per tutto ciò  che orbitava di contorno a quella giornata: dal racconto della stampa al sequestro preventivo di 122 manifestanti trattenuti in un Cie per quasi tutta la giornata fino alle inquietanti dichiarazioni del del Questore di Roma.

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Sull’informazione c’è poco da ribadire. Sembra di essere ritornati ai tempi dell’Agenzia Stefani, l’unica agenzia di stampa  autorizzata a fornire ai quotidiani le versioni ufficiali di eventi interni ed esterni durante il fascismo.  A manifestazione conclusa è stato tutto uno sbrodolare di elogi al Ministro degli Interni (il boia Minniti, citato recentemente anche dall’ex Nar Carminati nell’inchiesta su Mafia Capitale) per il solo fatto che non fosse successo “niente“.

“Possibile che tra le notizie di Repubblica ci sia un articolo sul menù del giorno dei leader europei e non si sollevi da nessuna parte una voce critica sul fatto che è stato messo in atto il più grande dispositivo di criminalizzazione e repressione preventive di piazza che la storia recente ricordi, sul fatto che si è militarizzata una città, ci si è presi il diritto di perquisire la gente per strada a caso, si sono fatti piovere fogli di via come fossero caramelle, si è impedito alle persone di partecipare a una manifestazione anzi, di entrare in una città, sulla base di valutazioni arbitrarie delle forze dell’ordine?!” (Da qua)

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Niente. A quanto pare la sospensione dello Stato di diritto, del  diritto a manifestare e addirittura dell’habeas corpus non sembrano materia interessante per il discorso pubblico nell’Italia contemporanea. Magari la prossima volta invece che in un Cie, i manifestanti rei di possedere una “diversa ideologia”, verranno internati in uno stadio un po’ come succedeva nel Chile di Pinochet nel ’73!

La testimonianza di Nicoletta Dosio:

“Fin dalla partenza hanno visto come tutte le volte l’auto della Digos che li ha accompagnati fino a Roma, li ha seguiti. Prima di arrivare a Roma Nord li ha superati e li ha aspettati al casello, dove sono stati fermati insieme ad altri pullman che poi hanno ritrovato al centro di identificazione di Tor Cervara. Sono state perquisite le persone… Prima han chiesto i documenti, sembrava tutto risolto, li hanno messi nuovamente sui pullman e invece di lasciarli andare verso il raduno per la manifestazione pomeridiana – quella indetta da Eurostop e dalle realtà del No sociale – si sono visti deviare fuori in questa zona degradatissima, tra l’altro fuori Roma, in questo enorme edificio che è un Cie, centro di identificazione – lo saprete bene voi che lì ci abitate – per tutta quanta l’Italia centrale e meridionale. fasc2 Quello che ho notato fin da subito era l’arroganza di chi li faceva scendere e li perquisiva. Tra l’altro è pure comparsa una foto – perché noi eravamo in contatto e quindi anche mi mandavano comunicazioni, mi raccontavano… – di uno di questi agenti che si è tirato su la manica e aveva un bel tatuaggio. Un tatuaggio costituito da un pugnale intorno al quale c’era scritto: “si vis pacem, para bellum”, se vuoi la pace prepara la guerra. Questo è il tipo di personale a cui è affidato l’ordine pubblico in questa nostra situazione; che è non solo di vera emergenza democratica, ma ormai direi di fascismo neanche più nascosto, sempre più evidente. Sono stati portati in questo centro in condizioni diverse, perché ad un anziano No Tav è stato trovato un coltellino, un Opinel, a cui tra l’altro aveva attaccato un fischietto all’Opinel.” […] han preso i documenti e glieli hanno tenuti per tutto il giorno, fino alla fine della manifestazione, praticamente. Ah, oltre a questi nostri due compagni c’erano anche altri 4 ragazzi pisani, che sono stati anch’essi tenuti chiusi, detenuti pure loro in questo Cie, perché gli han trovato nello zaino una felpa, che di solito ci si porta o come cambio o comunque per mettersi addosso perché le giornate non sono proprio di grande caldo. Quindi per una felpa una persona può essere presa, può essere detenuta per 10 ore e può ricevere un foglio di via di tre anni. Lo stesso può succedere ad un anziano per un coltellino con cui tagliava il formaggio. Questa è la situazione democratica del nostro paese…

Fuori dal Cie, intanto, veniva negato l’accesso ad una parlamentare europea come Eleonora Florenza.

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A fine giornata, per concludere al meglio, a Rai News il Questore di Roma pronunciava queste parole: “Abbiamo verificato orientamento ideologico delle persone fermate” come se l’Articolo 3 della Costituzione italiana fosse stato improvvisamente abrogato e da quel momento in poi la libertà di circolazione l’avesse solamente chi professa un determinato tipo di idee, dunque quelle che fanno comodo a queste istituzioni o l’estrema destra in generale. Esagerato? Non proprio visto il comportamento ordinato da Minniti a Napoli solo pochi giorni fa!

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Insomma gli indizi cominciano ad essere tanti messi uno dietro all’altro.

Se un foglio di via da Roma di 3 anni per un fumogeno vi sembra poco provate a leggere questo o ad ascoltare la video intervista qua sotto: «Foglio di via dalla città in cui studio», l’incredibile storia di uno studente di Roma3

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17458090_10155417867412985_6492692067053618715_nNon da ultimo la squallida approvazione da parte di Camera e Senato del decreto legge Minniti-Orlando sul quale il senatore del Pd Luigi Manconi ha parlato chiaramente di “diritto etnico” (legge razziale) mentre assieme al suo collega Walter Tocci negava la fiducia in aula.

Che con le due manifestazioni di Napoli e Roma si sia entrati definitivamente in una nuova fase della politica italiana è un dato di fatto.  Giusto oggi (30 marzo) si scopre che la nuova prassi di bloccare i pullman e di perquisire tutti i manifestanti viene riproposta sui lavoratori (Vigili del Fuoco) dell’Usb come se anche a loro fosse contestata una incongrua appartenenza ideologica o di sindacato. Strano come l’unica “ideologia” formalmente bandita dalle nostre leggi e dalla nostra Costituzione, quella fascista, sia la sola a non sfiorare nemmeno i pensieri del neo Ministro degli Interni.

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Occorre cominciare seriamente a sfoderare l’arma della solidarietà e a organizzare in senso positivo paure, delusioni, disperazioni e solitudini prima che il manto oscuro del fascismo vada a riempire i vuoti lasciati.

“Nella Postilla all’Opera d’arte, Benjamin scrive che il colpo di genio del fascismo è consentito nella capacità di: «organizzare le masse proletarizzate senza però intaccare i rapporti di proprietà di cui esse perseguono l’eliminazione. Il fascismo vede la propria salvezza nel consentire alle masse di esprimersi (non di veder riconosciuti i propri diritti). Le masse hanno diritto a un cambiamento dei rapporti di proprietà; il fascismo cerca di fornire loro una espressione nella conservazione delle stesse».” (Da qua)

[1] Gaetano Salvemini – Le origini del fascismo in Italia Lezioni di Harvard – Feltrinelli 2015 – Pag. 179-184