Modena. Drôle de guerre.

Posted on 11 dicembre 2017

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 “Chi non fa che guardare per sapere il seguito, non agirà mai: Proprio così deve essere lo spettatore.”
Guy Debord

 

Avete presente un piccolo paese? Perfetto. Mantenetene i difetti più classici e gettate tutto il resto, pregi compresi: il pettegolezzo, il conoscersi un po’ tutti, una mentalità bigotta e chiusa mascherata dietro abiti alla moda. Mischiate con una buona dose di perbenismo liberal, di quello magari connesso al mondo ma totalmente incapace di osservare anche solo ciò che accade nei marciapiedi della città, shakerate e farcite con un rombo di motore e uno chef pluristellato. Bene. Avrete in mano il cocktail Modena nella sua ricetta più classica.

Anno del Signore 2017, tanta strada pensi, tanta modernità, poi alla fine ti ritrovi sempre con gli stessi personaggi, quelli che starebbero benissimo anche in una novella di Verga: il Sindaco, il Questore, il Vescovo, il ricco epulone… e pazienza in fin dei conti non sono nemmeno tutti così sgradevoli, la maggior parte sì, ma non tutti. Eppure ne è passata di acqua sotto i ponti da quei primi del ‘900, direte. Tuttavia in questi giorni di fine duemiladiciassette passato e presente si parlano più del solito, si intrecciano come in un groviglio di rovi, in una ragnatela di racconti.

Il culo è tutto nel 2017 ma i muri della città, la sua atmosfera e il suo sapore affondano le proprie radici nei ricordi del passato. Ma andiamo con ordine. Domenica 3 dicembre, a un mese esatto dalla riapertura dell’Ex Cinema Olympia (chiuso dopo l’infame sgombero del 30 novembre) un corteo “contro gli sgomberi e per gli spazi sociali” ha sfilato per la città. 24068250_960914577392943_8251972953116269721_n Prendiamo da Senzaquartiere: lo scopo della manifestazione era quello di mostrare alla città le potenzialità, le idee, i progetti e le energie che il Cinema Olympia conteneva. Intento ampiamente realizzato dato il colore, lo spirito e l’eterogeneità dei partecipanti al corteo che ha da subito voltato le spalle ai blocchi polizieschi per partire in direzione ostinata e contraria verso largo Sant’ Agostino. All’altezza di corso Cavour si svolta verso il centro cittadino (nello stesso punto in cui, nel gennaio 2016, le forze dell’ordine manganellarono gli antifascisti che protestavano contro Forza Nuova [sic!]) dopodiché, davanti al liceo San Carlo, il colpo di scena, il corteo si ferma e un fumogeno annuncia all’improvviso l’occupazione del Cinema Cavour situato lì di fronte e chiuso dal 2000. Sotto le note di Édith Piaf, pompate dalle casse del furgoncino che apriva la manifestazione, ha riaperto così un altro cinema della città, in un’atmosfera molto più simile a una performance teatrale che a una manifestazione politica.

Di che si tratta? Di un vecchio teatro di fine ‘800, conosciuto in città come Paradisino (il nome deriverebbe dalla vicinanza alla chiesa contigua Santa Maria degli Angeli del Paradiso) trasformato in un cinema soltanto nel dopoguerra, nel lontano 1947, anno in cui assunse anche il nome attuale: cinema Cavour. Una storia particolare quella di questo luogo. Di proprietà della Curia vide, negli anni del fascismo, l’attività di un’associazione conosciuta come “il Paradisino”, legata all’Azione Cattolica che, sotto la guida di don Marino Bergonzini, si proponeva di dare ai giovani una formazione religiosa, sociale e culturale. Prendiamo da un articolo della Gazzetta di Modena: Non vi è dubbio che Don Marino abbia rappresentato molto nella formazione di tutti quei giovani che hanno avuto la fortuna di seguirlo per diversi anni. La vita stessa dell’associazione era strutturata in modo da offrire ai giovani un percorso di studio sui valori religiosi, morali ed etici sui quali basare la futura vita di adulti. Dopo l’8 settembre 1943, don Marino incoraggiò alcuni giovani ventenni, ancora legati a lui dopo l’esperienza del Paradisino, a raggiungere i partigiani in montagna. Tra questi Ermanno Gorrieri, Luigi Paganelli e Franco Busani ai quali si unirà un altro modenese, Don Elio Monari poi ucciso dai tedeschi come Franco Busani. 

Anche nel dopoguerra continuò ad essere un luogo di aggregazione giovanile sotto la  guida di  un altro don, Eligio Venturelli, finché il fermento culturale sociale e politico del ’68 e il vento di ribellione parallelo non minarono direttamente alle fondamenta le stesse le organizzazioni cattoliche dell’epoca, portando anche Il Paradisino alla chiusura. Prendiamo questa testimonianza da un commento rubato su Facebookil cinema “nostro” dei Paradisiani , giovani studenti del circolo studenti medi San Giovanni Bosco, quelli che ancora dopo decine e decine di anni si trovano ancora una volta all’anno  cena… Cavour il cinema governato dal povero, perché passato a miglior vita, don Eligio che ambiva governare spiritualmente anche noi… Cavour dove volava il corsaro verde, Burt Lancaster giovane , dal pennone di una nave pirata ai galeoni spagnoli con un sorriso a quattro file di denti ed un fisico da grande ginnasta… Cavour del macchinista operatore Faustino padre di Poldo e del bar Licinia con annesso deposito biciclette, nonna dei Bipedi ormai invecchiati … Cavour delle recite studentesche fatte in casa… Cavour in cui pagavo ridotto dopo anni ed anni da quando il Paradisino ormai era chiuso… Cavour dei cineforum invernali con tanto di dibattito dopo la proiezione… Cavour dove in tutti i film le scene di bacio venivano prudenzialmente tagliate dalla pellicola per non sollevare voglie giovanili… Cavour come finestra su un mondo in technicolor e cinemascope di film in terza o quarta visione e bruscolini salati e dopo una spuma al cedro…

Altri tempi, sepolti sotto diciassette anni di abbandono e di chiusura e che solo ora, dopo l’occupazione, riprendono colore, un po’ come i progetti caritatevoli ad esso legati, con  Lorenzo Selmi, direttore della Fondazione Auxilium, che a margine dell’occupazione si presenta sul luogo ad annunciare che il complesso dell’ex Cinema Cavour verrà presto adibito a mensa per i poveri. Ma non è di questo tuttavia che si vuole parlare, purtroppo.

Perché sarebbe bello poter continuare a discutere dei problemi della città, del riutilizzo dei suoi spazi abbandonati, della riscoperta della sua storia, di rigenerazione urbana (quella vera), degli spazi di socialità o della proattività di alcuni suoi cittadini. Sarebbe bello e lo confessiamo senza alcuna difficoltà. Avremmo preferito di gran lunga continuare ad occuparci delle emergenze urbane o ad ascoltare le lezionicine sulla legalità da un Assessore – figlio “d’arte” – con deleghe allo Sport e all’Ambiente [sigh!] in una città tra le più inquinate d’Europa e che ha appena visto fallire la propria principale squadra di calcio in maniera miserevole. Sì, ci vuole una discreta faccia tosta! Avremmo preferito continuare a farci venire il sangue amaro nei confronti di una Giunta tra le più inette e ignobili che Modena ricordi. Fosse per noi questa settimana saremmo già quaBack to the Future, tanto per rimanere in tema di intrecci temporali.

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Sarebbe bello. Purtroppo però, questa settima in città, ci sarà anche altro.

Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi, ma non spetta a loro decidere; possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso.
Gandalf il grigio.

Prendiamo dalla pagina di Modena AntifascistaModena si prepara a vedere per la sera del 15 dicembre una marcia neonazista dove sfileranno tutti i componenti della galassia nera del Nord Italia con la scusa di un già naufragato IUS SOLI: a partire dai naziskin del Veneto Fronte Skinheads (sotto l’insegna del loro partitino Progetto Nazionale) provenienti da Piacenza, Mantova, Como e Verona, gli stessi protagonisti delle recenti intimidazioni razziste; ma anche gli squadristi emiliano-romagnoli di Forza Nuova, i fascisti di Casapound, gli hammerskin di Lealtà Azione, gli “identitari” di Azione Identitaria e, non da ultima, Terra dei Padri che – non dimentichiamolo! – ha organizzato il corteo dietro la sigla “Difendi Modena” (qui si può notare il gruppo, formato dal presidente Fabio De Maio insieme ad alcuni militanti del covo neofascista e di Forza Nuova

https://twitter.com/Wu_Ming_Foundt/status/939811405708120064

 

Prima di continuare però facciamo un piccolo tuffo nel passato:

In un paesino due camice nere entrano nei locali dove sono riuniti cinquanta operai; spianano contro di essi le rivoltelle gridando “mani in alto,” e quindi ordinano che si alzino in piedi e lascino i locali due alla volta. Mentre gli operai eseguiscono quanto è stato loro ordinato, i fascisti, che sono appostati all’ingresso, su buttano su di loro e li bastonano. I cinquanta operai non oppongono resistenza alcuna. Da una parte due eroi, dall’altra cinquanta vigliacchi. La faccenda non è affatto così semplice. I cinquanta vigliacchi, che obbediscono alle intimazioni dei due eroi, sono disarmati, e i due eroi lo sanno bene, dato che in precedenza gli operai hanno subito perquisizioni della polizia, e portare armi significherebbe essere passibili di arresto. Inoltre i cinquanta vigliacchi sanno bene che se essi fanno obiezioni e disobbediscono, i due eroi non esiteranno a sparare. I cinquanta vigliacchi sanno per aggiunta che il rumore di spari farebbe giungere sul luogo la polizia, la quale procederebbe all’arresto non degli eroi armati, ma dei vigliacchi disarmati. E ciò che più di tutto conta, i cinquanta vigliacchi sanno che se per caso una camicia nera rimane uccisa in un conflitto, il direttorio fascista della zona ne sarà subito informato telefonicamente; poche ore più tardi centinaia di fascisti arriveranno in camion sul posto, saccheggeranno le loro case e quelle dei loro vicini, bruceranno i loro arredi, bastoneranno indiscriminatamente vecchi donne e bambini; e questa volta la polizia non si farà vedere fino a cose fatte, e anche allora arresterà sotto l’accusa di omicidio gli uomini che hanno agito per legittima difesa. Questa è la realtà delle cose. *

Passato e presente che si intrecciano verso un futuro a tinte fosche. Spaventa quaggiù una giornata come quella del 15 e non tanto per ciò che sarà quanto per lo specchio di ciò che è già accaduto e che ora diventa semplicemente manifesto. Il fascismo è già qui, ha già mollato gli ormeggi. (In questo la pensiamo un po’ come Bifo in questo pezzo.) Lo notiamo quotidianamente, in città ormai le uniche iniziative autorizzate sembrano essere quelle dei “fascisti”, l’ultima sabato, in ordine di tempo. Il fascismo in Italia, quando serviva,  è stato sistematicamente allevato, coccolato e sospinto dalle istituzioni dello Stato e questo non certo da oggi. Do you remember? Giusto domani sarà il 48 anniversario della strage di Piazza Fontana, 17 morti più Pinelli assassinato da una finestra della Questura, 36 anni di processi e ancora nessun colpevole. 1507633778272-mentana-formigli-porro-locandine-casapoundOggi invece i fascisti li sdoganano i volti televisivi mentre il Pd ci gozzoviglia tranquillamente con rapporti incestuosi; tanto che ormai si fatica anche a distinguere nettamente chi, fra i due, giochi a fare l’utile idiota dell’altro.

Se se getta uno sguardo ai numeri poi la faccenda diventa ancora più chiara (anche se torbida). Prima però, per inquadrare meglio le dimensioni del problema, prendiamo un attimo solo gli omicidi a sfondo fascista dal 2011 ad oggi:

– Roma, 26 giugno 2011. Quattro persone aggrediscono a pugni e calci Alberto Bonanni, 29 anni, musicista, dopo un banale alterco in una via del rione Monti. Nei loro profili FB, alcuni aggressori ostentano saluti romani e altri simboli del noto repertorio. Pur di non chiamarli neofascisti, i giornali usano perifrasi: «teppisti con simpatie per l’ultradestra». Alberto, entrato in coma, morirà dopo tre anni senza aver mai ripreso conoscenza.
– Firenze, 13 dicembre 2011. In piazza Dalmazia, il neofascista Gianluca Casseri, attivista di Casapound, uccide a colpi d’arma da fuoco Samb Modou, 40 anni, e Diop Mor, 54 anni, venditori ambulanti senegalesi. Un terzo colpito, Moustapha Deng, 33 anni, non muore ma riporta danni gravissimi al midollo spinale e non potrà più camminare. Il movente è l’odio razziale.
– Roma, 3 maggio 2014. Nei pressi dello Stadio Olimpico, il neofascista Daniele De Santis detto «Gastone» – ex membro del Movimento Politico Occidentale e del Movimento Sociale Europeo – uccide a colpi d’arma da fuoco Ciro Esposito, 31 anni, tifoso del Napoli.
– Roma, 3 luglio 2014. Il neofascista Giovanni Battista Ceniti, già dirigente di Casapound a Verbania, uccide a colpi d’arma da fuoco Silvio Fanella, 41 anni, mediatore finanziario, durante un tentativo di sequestro.
– Fermo, 5 luglio 2016. Il neofascista Amedeo Mancini, molto vicino a Casapound, uccide a pugni Emmanuel Chidi Namdi, 36 anni, profugo nigeriano. Il movente è l’odio razziale.

Ora leggiamo da Osservatorio Repressionesecondo il Viminale, dal 2011 al 2016 contro i fascisti ci sono stati “10 arresti e 240 deferimenti all’autorità giudiziaria”. Nello stesso periodo contro i militanti e attivisti della sinistra ci sono stati 852 arresti; 15.602 denunce; 385 fogli di via; 221 decreti di sorveglianza speciale; 139 obblighi di firma; 71 obblighi di dimora, in larghissima parte per reati legati a lotte sociali, sindacali, ambientali, antimilitariste cioè picchetti antisfratto, occupazioni di case, blocchi stradali, picchetti, sostegno a immigrati e rifugiati, manifestazioni No Tav, No Muos e contro la militarizzazione in Sardegna. Una bella differenza no?

Il centro è cieco, la verità si vede dai margini.

Questo fine settimana, mentre il Pd a Como indossava la giacchetta dell’antifascismo istituzionale agli estremi della penisola succedevano cose indicative. In Val Susa venivano arrestati 3 NoTav mentre in Puglia venivano “ammanettati e fatti inginocchiare” 52 manifestanti, ripeto: 52 manifestanti NoTap condotti in questura e trattenuti tutta la notte per “manifestazione non preavvisata” (articolo 18 del Tulps, testo unico fascista del 1931). Una testimonianza qua.

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Come accadeva in quel paesino parecchi anni fa, anche oggi le principali vittime dei fascisti sono proprio quegli uomini e quelle donne attivi movimenti sociali e che il PD non solo disprezza ma considera anch’esso come nemici. Sono quei ragazzi e quelle ragazze che portano avanti le bandiere della solidarietà, della cittadinanza attiva,  che costruiscono comunità resistenti e fanno da argine all’odio montante verso gli ultimi. Tutte persone che non sono “gente da capire” – come invece sono stati considerati gli abitanti di Goro dal Pd mentre innalzavano barricate contro l’arrivo di 12 donne  rifugiate aizzati dal leghista di turno – ma (mettete un aggettivo a caso, negativo) da “ri-educare”, da “raddrizzare”.

Ci sono altre forze che agiscono in questo mondo, Frodo, a parte la volontà del Male.
Gandalf il grigio.

Sappiamo che l’argine all’avanzare dei fascismi non risiede unicamente nella contrapposizione diretta ma vive anche in quegli spazi e in quelle lotte che quotidianamente erodono il suo terreno di cultura privilegiato: offrire surrogati di rivolta e falsi bersagli utili al mantenimento dell’assetto sociale dominante trasformando i bisogni dei settori più deboli della società in un supporto diretto a quelle stesse forze predatorie e antisociali che li hanno generati.

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A Modena tutto questo lo si nota molto bene. Era evidente dentro quella sala della Polisportiva Madonnina, subito dopo la riuscitissima manifestazione contro la cementificazione a Vaciglio, così come negli interstizi di una città nella quale, pian piano, stanno crollando tutti gli appigli più tradizionali, come si scriveva a novembre: nella nostra città non vi è nulla di più funzionale al “sistema” o, per meglio dire, all’attuale system failure che quel codazzo di falsa opposizione e di dialettica fasulla rappresentata da questa gente qua e la rapidità con la quale pezzi di società sono accorsi con guizzo codino all’abberveratoio della corte neofascista di Terra dei Padri non fa che confermarlo. C’è del marcio nel modenese, parecchio, e ai dispositivi di disciplinamento classici occorre affiancarne di nuovi (in realtà antichi) per sviare, controllare ed infine delegittimare chi effettivamente, le cose, cerca di cambiarle per davvero. Il trucco, l’impianto strategico, consiste esattamente in questo, nell’evitare che il malcontento, la protesta, il populismo montante, sfugga effettivamente di mano verso forme di democrazia partecipata inconciliabili e incontrollabili dallo schema ordoliberale che ci circonda. Al System failure occorre un nuovo recinto della legittimità politica che escluda quel vetusto antifascismo scritto solo sulla Carta e che serva l’unico vero Duce della modernità: il mercato con tutti i suoi crolli, i massacri, le catastrofi e i rovesci conseguenti.

Domani, martedì 12 dicembre, proprio durante l’anniversario della strage di Piazza Fontana, in quello stesso cinema Paradisino che vide don Marino Bergonzini incoraggiare alcuni giovani a lui legati a salire in montagna per unirsi alla resistenza, in quello stesso luogo si terrà un importante assemblea antifascista cittadina. In vista e in preparazione della mobilitazione del 15, contro ogni forma di razzismo e intolleranza.

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“Ché, mamma mia, nella vita talvolta è necessario saper lottare, non solo senza paura, ma anche senza speranza.”
Sandro Pertini

 

* Gaetano Salvemini – Le origini del fascismo in Italia Lezioni di Harvard – Feltrinelli 2015 – Pag. 179-184