#mobastacemento – “Non difendiamo la natura, siamo la natura che si difende.”

Posted on 27 gennaio 2018

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Pezzo per pezzo, mattone su mattone, è così che avanza il “sacco” di Modena. Non è mai un qualcosa di prettamente esercitato ma sempre di ereditato, è un lascito che, giunta dopo giunta, indica il percorso, un tratto tanto stanco e dannoso quanto, all’apparenza, immutabile.

Capita così che la prassi di governo del territorio si faccia quella di scaricare le colpe sul passato per ipotecare un altro pezzo di futuro nel presente. Capita dunque che in una media città emiliana, con ingenti problemi di inquinamento, viabilità e di consumo di suolo progetti totalmente anacronistici – se si escludono i famelici appetiti che li sospingono – possano essere portati avanti in questa maniera, senza alcuna chiara responsabilità diretta. È la trasposizione sul locale di tutti quei vari diktat che suonano all’incirca sempre allo stesso modo: ce lo chiede l’Europa, there is no alternative, abbiamo ereditato il disavanzo dalle cattive gestione del passato, è un progetto approvato dalla precedente amministrazione… e che uccidono il confronto in partenza, ciò che è il sale della democrazia, la sua linfa vitale, la cui negazione ne certifica l’assenza.

https://twitter.com/ellepuntopi/status/956106947530543104

Si “dibatte” ma a decisione già presa. Un “confronto pubblico” dall’esito scontato, come nella migliore tradizione per le grandi opere inutili, allergiche alle discussioni prolungate proprio in virtù della propria “inutilità”. Una prassi che si ripete anche a Modena, per la costruzione delle nuove palazzine in zona Vaciglio. 550 nuovi appartamenti imprescindibili tra via Morane e la tangenziale, in una città nella quale un’abitazione su cinque risulta vuota.

assembeLunedì 22 gennaio, ore 20.30. La sala civica di via Viterbo 80 non ha mai visto così tante persone. Ci si accalca anche all’ingresso e intorno alle due uscite laterali. Più di duecento persone sono venute ad ascoltare le parole e, soprattutto, le risposte dell’amministrazione comunale circa il contestatissimo progetto che prevede la costruzione di nuovi appartamenti su un terreno oggi agricolo. Dopo una breve introduzione prende la parola l’Ufficio Tecnico del Comune di Modena per il settore Pianificazione territoriale e trasformazioni edilizie che illustra con mappe e rendering di dubbia fattura il progetto originale e le tutte le modifiche già approvate. Da 865 appartamenti si passa a 550 alloggi distribuiti su 28 palazzine più un un progetto di forestazione urbana [sigh!] compensativo. Una rotonda qua, una barriera acustica là. Prendere o lasciare.

Un passo indietro. Tra il 2010 e il 2011 l’amministrazione comunale stipula accordi perequativi con i soggetti privati proprietari del terreno, oggi in mano a Modena Estense spa. Accordi che prevedevano la trasformazione della destinazione delle aree da Attrezzature generali (Aree F) ad aree residenziali edificabili private. Dentro a Modena Estense spa troviamo attori noti del territorio come Cmb e Aec che la compongono per oltre l’80%. Se la Cmb è colosso noto, la Aec è “quella del cemento farlocco a Finale, quella nel cui collegio revisori siede la moglie di Muzzarelli Alessandra Pederzoli, quella alla quale la Provincia di Muzzarelli ha affidato, con regolare appalto, i lavori per circa 4 milioni del nuovo ponte di Bomporto“. (Da qua)

A illustrare il progetto troviamo Maria Sergio, “moglie del sindaco di Reggio Emilia e chiamata in causa nel maxi processo Aemilia dal pentito Antonio Valerio” per presunti “«favoritismi» verso alcuni imprenditori di origine calabrese durante il suo incarico di dirigente all’urbanistica a Reggio Emilia”  (10 anni)  sotto l’amministrazione dell’attuale Ministro delle infrastrutture Graziano Delrio. (Da qua) Al ventesimo minuto di illustrazione inizia il brusio, prima soffocato poi palese. La parola “tecnica” però deve proseguire, ci sono da esporre le modifiche al progetto iniziale già previste, prendere o lasciare. Più breve e sbeffeggiato invece risulterà l’intervento del tecnico, chiamato dal Comune, per le previsioni dell’impatto sulla viabilità nella zona (550 alloggi sono un’intero paese che si traduce in un conseguente incremento di automobili).

L’unica stima dei costi sostenuti dall’amministrazione, per questa nuova colata di cemento sulla città, invece, la farà un intervento del pubblico, con l’architetto Tullio Zini  pronto a dimostrare come il vero risparmio, per le casse comunali, si otterrebbe abbandonando il progetto e non perseguendolo. «Se mi sono sbagliato chiedo scusa, ma nella convenzione ci sono delle spese da parte dell’amministrazione sull’esecuzione delle opere di urbanizzazione: la barriera antirumore costa 500mila euro attribuita per metà all’amministrazione comunale, verde e ciclabile 445mila euro, la rotatoria di via Morane  315mila euro, poi c’è il potenziamento della rete idrica, perché questo insediamento richiede un potenziamento della rete idrica che costa come stima 850mila euro dei quali 350mila a carico di chi interviene e i 500mila d’avanzo a carico dell’amministrazione comunale, c’è anche una postilla che dice che i maggiori costi sono tutti a carico dell’amministrazione. Il conto è un milione e 350mila euro. Per l’eventuale recessione del progetto, la norma dice che l’amministrazione dovrebbe pagare le spese tecniche per il progetto, diciamo che siano 350mila euro, che non sono; rimane un milione.»

E’ un assedio. A paroline come riforestazione urbana, incremento del “valore ambientale”, ripermeabilizzazione del territorio non sembra abboccare più nessuno. Alla delusione verso un’amministrazione totalmente estranea all’ascolto si sovrappone una rabbia crescente circa un progetto e una visione di città sempre più nociva e deleteria.

Una città compressa tra nuovo cemento e ferocia sociale, in morsa mortale che vorrebbe “risolte a colpi di scavatrice e betoniera” problematiche sociali sempre più stringenti. Toxicity l’avevamo ribattezzata a fine ottobre, in un quadro che legava la costruzione delle nuove palazzine a Sud della città, in zona Vaciglio, ai progetti di “riqualificazione urbana” a Nord, recentemente “impreziositi” pure dalla visita di Gentiloni. “La “rigenerazione” rappresenta il core business degli anni futuri. Il bene durevole per eccellenza, che non a caso definiamo e distinguiamo come immobile, entra nel gioco dello spreco consumistico e diventa labile, deperibile, riproducibile. […] La dinamica è lineare: riconverto zone centrali demolendo e ricostruendo, in più costruisco in periferia su terreni vergini sotto l’ombrello dell’interesse pubblico, accorcio in questo modo il ciclo di vita dei manufatti e introduco l’idea della loro precarietà così mi garantisco un mercato imperituro. Un dispositivo perfetto.” Che è esattamente ciò che sta accadendo a Modena.

Giù, le mani, da Vaciglio. Giù, le mani, da Vaciglio. Giù, le mani, da Vaciglio….

costiIl sindaco Muzzarelli è l’unico a rispondere, arrogante come sempre, ma a parte la claque in prima fila e qualche pasdaran sparso tra il pubblico, gioca fuoricasa, in un campo nettamente ostile. Parte all’attacco (offendendo), si smarca dalle responsabilità (il progetto la sua amministrazione l’ha ereditato e gli tocca gestirlo) per poi puntare sui pattern politici più efficienti (le aziende del territorio, che i patacchini dei comitati vorrebbero far chiudere e l’infanzia sempre benvista, «se dobbiamo aprire una nuova scuola per le nuove palazzine abbiamo vinto»), finish. Risposte evasive e mai nel merito se non quella circa le penali che il Comune dovrebbe sborsare ai costruttori in caso di abbandono del progetto. 18 milioni di euro secondo il sindaco, citando direttamente il bilancio dell’impresa per l’intera area in questione [sigh!].

Contrariamente a quanto successe nell’incontro del 12 ottobre scorso mancavano, questa volta, i tribuni della plebe seduti sulla riva del fiume ad aspettare, c’era però un’amministrazione cittadina talmente sicura di sé e arrogante da potersi permettere di far illustrare un progetto contestatissimo da cittadini, residenti e da associazioni come Italia Nostra direttamente a Maria Sergio. Un’amministrazione che pare potersi permettere di procedere a tutto gas anche contro una zona della città che nel referendum del 4 dicembre 2016 aveva espresso una maggioranza per un sì “neoliberale” e “filogovernativo”. Tutti indici che confermano il sentore di un tessuto sociale sempre più apatico e indifferente e che avanza di pari passo alla progressiva privatizzazione dello spazio pubblico rinchiudendosi in un recinto personale nel quale il rancore risulta la più fertile delle intimità.

L’Emilia-Romagna, negli ultimi vent’anni, ha ispirato molti cautionary tales, racconti ammonitori su cosa succede al territorio quando i cittadini non si preoccupano delle sue trasformazioni. L’alta velocità Bologna-Firenze, la variante di valico, il viadotto modenese della linea alta velocità Bologna-Milano, sono esempi ormai noti in tutt’Italia tra coloro che si battono per la tutela del paesaggio. Lo stesso può dirsi per alcuni disastri urbanistici, come il cantiere dell’ex mercato Ortofrutticolo di Bologna o la cementificazione selvaggia e ‘ndranghetista nelle province di Parma e Reggio Emilia. La fede nel buon governo locale, erede della leggendaria pianificazione riformista degli anni sessanta, si è trasformata nel culto di Asfalto, Mattone, Tondino e Cemento. Autostrade, megastazioni e ferrovie veloci sono sempre benedette dal clero laico degli amministratori e accettate senza tanti disturbi dalla maggioranza del popolo. (Da qua.)

Giù, le mani, da Vaciglio. Giù, le mani, da Vaciglio. Giù, le mani, da Vaciglio….

fce2f298b238f74a3fd188861dc4343f_XLA un sistema che cresce e prospera sulla diffusione del silenzio, dell’ignoranza e dell’apatia poche cose posso fare più paura  di un opposizione informata. Più circolano le informazioni, l’attenzione, il confronto, lo scontro e la condivisione di esperienze più aumentano gli strumenti di tutti, la coscienza, la ricerca, la consapevolezza. Maria Sergio, lo show di Muzzarelli, gli occhi silenti, quasi assenti, dell’assessore Guadagnini per tutta la durata dell’iniziativa prima di uscire dalla sala accompagnata dai “vergognatevi” del pubblico. La domanda che sorge spontanea dunque risulta quella circa gli anticorpi residuali che una città come Modena è ancora in grado di disporre e di produrre prima di cedere definitivamente il passo alla sua rovina. Una rovina sia ambientale che sociale perché le due dimensioni si muovono e deperiscono in parallelo. Occorre cominciare a percepire la città come il nostro habitat e la politica come una sorta di ecologia perché l’aria irrespirabile, la malavita, un modello di sviluppo insostenibile e fondato sostanzialmente sulla predazione fanno parte di uno stesso discorso. “Non difendiamo la natura, siamo la natura che si difende.” 

Giù, le mani, da Vaciglio. Giù, le mani, da Vaciglio. Giù, le mani, da Vaciglio…

Certo nessuno  farà il lavoro al posto nostro perché, oggigiorno, non vi è più nulla a cui delegare una nostra difesa o una mediazione sufficientemente accettabile per essa, però si può vincere e proprio in questi giorni qualcuno, nel paese accanto, l’ha dimostrato con grande ardore.

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11Francia, laggiù, da qualche parte, in alto a sinistra, (un po’ più a sud ovest rispetto a ⇐ questa cartina) il 18 gennaio 2018 è il primo giorno senza aeroporto. 50 anni di lotta e 10 di occupazione, questi i numeri di una grande battaglia sia ambientale che sociale che si conclude col funerale  del progetto dell’aeroporto di Notre Dame des Landes, con la sconfitta del governo francese, guidato attualmente da Macron, e con una vittoria di movimento a dir poco storica.

Se in Italia non si sa quasi nulla di questa battaglia (ne scrivemmo solo qua), di questa vittoria, di questi  1650 ettari di boschi, riserve naturali acquifere, di animali, di campi che non verranno ricoperti di cemento è perché l’informazione mainstream è ormai ridotta a un mero veleno disinformante e propagandistico.

“Il successo storico è dato da una mobilitazione articolata che ha alternato e associato ricorsi giuridici, controperizie citoyenne, manifestazioni e presidi di massa, solidarietà tra agricoltori, sindacati (compreso quelli dell’aviazione), occupazioni, resistenza, inchieste e prefigurazioni per oltre quarant’anni. Ciò che avviene nella Zad va oltre il “caso” e la specificità di NDDL. L’uso della forza con i blindati e le migliaia di agenti – e l’esercito – contro la Zad hanno perso, la costruzione del “nemico interno” da parte dei successivi governi ha perso. Una nuova architettura politica in permanente riadattamento che chiede una revisione completa della gerarchia delle cause e delle conseguenze, che tiene conto dell’integralità dell’esistente, si è imposta. Il movimento di NDDL ha accettato la sfida rispondendo alle domande essenziali che pone il tempo presente: dal censimento delle specie minacciate e il disequilibrio nel rapporto di forza tra cemento e mondo animale e vegetale allo studio dell’uso diversificato del terreno. La natura nella Zad non è uno spazio neutro che gli amministratori eletti possono decidere di modificare a loro piacere e interesse, ricostituendo la biodiversità a qualche chilometro di distanza per “compensare”; non è neanche elemento esterno da difendere ideologicamente, come dice bene lo slogan della Zad: «Non difendiamo la natura, siamo la natura che si difende».” (Da qua)

https://twitter.com/ZAD_NDDL/status/954048080998842368

Per celebrare anche noi la vittoria a Notre-Dame des Landes proponiamo e traduciamo questo interessante pezzo di Serge Quadruppani: Pour les Zad, contre l’Etat de droit, contre le travail. (Link e parentesi nostre.)

“Non si ha spesso l’occasione, durante una vita, di salutare una vittoria storica e il funerale del progetto dell’aeroporto di Notre-Dame des Landes da parte del potere macroniano è sicuramente una di queste. E’ impossibile non pensare a Rémy Fraisse al momento di gridare: Urrà per coloro i quali hanno messo la loro vita in bilico! Urrà per i compagni che si sono battuti con tutti i mezzi, alcuni dei quali poco rispettosi dello Stato di diritto!

La cricca di politici che ha strillato contro l’abbandono dell’aeroporto di Notre-Dame des Landes ha perfettamente ragione: questo risultato, arrivato dopo anni di lotta, è un incoraggiamento a non rispettare lo Stato di diritto. Ricordiamo che lo Stato di diritto realmente esistente ha dichiarato innocenti il poliziotto che ha ammazzato Rémi Fraisse [“responsabile ma non colpevole” secondo i magistrati in Italia invece si aumentano gli stipendi di militari e polizia, chissà perché]e tutta la sua catena di comando, che manda i migranti a perdere i loro piedi nella neve, che gli strappa scarpe e coperte, che li gasa quando vanno a prendere un caffè e che organizza la confisca della ricchezza per conto di banche d’affari e dei loro dirimpettai. Ricordiamo che, come dimostrano anche le ultime sequenze sulla loi Travail, lo Stato di diritto oggi realmente esistente fornisce incessantemente le condizioni necessarie perché il lavoro costi sempre meno al capitale e che il primo sia sempre e costantemente più facilmente sfruttabile per il secondo.

Oggi, è un fatto noto anche ai giornalisti: nella ZAD [Zone à défendre] siamo più forti di polizia e tribunali. I conflitti e le violazioni delle norme fissate dalla collettività sono regolate in assemblea o in un comitato di mediazione. La dominazione maschile, ad esempio, non ha bisogno d’un hashtag o del ricorso ad un istituzione giudiziaria per essere neutralizzata. L’idea per la quale l’uomo è un lupo per sé stesso e che una sovrastruttura statale sia indispensabile per impedire agli umani di mangiarsi tra loro (o per restare più vicini alla realtà, per regolare questo banchetto) è sicuramente stata smentita dalle procedure formali che la comunità ha adottato ma anche e soprattutto per lo spirito di benevolenza e di solidarietà che la lotta comune ha portato a regnare. Più generalmente e più profondamente, all’interno della ZAD, ciò che ha consentito di passare felicemente ad uno “Stato del Giusto” è stata un’attività umana in larga misura liberata dal lavoro.

Sviluppando su alcuni settori della vita materiale una relativa autosufficienza, organizzandosi con gli attivisti della regione per le forniture produttive accanto agli scioperi e ai picchetti, per i luoghi occupati o per le mense dei migranti, generalizzando la mutualità, i prezzi liberi e la gratuità, gli zadisti hanno sviluppato una forma di vita che è una critica in atto di quella forma costrittiva dell’attività umana che chiamiamo lavoro. Tutti coloro che hanno visto nel movimento contro la legge El Khomry l’opportunità di rimettere in causa la legge «Lavora!», quegli individui che rifiutano il salario per vivere nella ZAD non sono affatto dei pigri: dovreste vedere con che cuore e con che costanza sanno come attivarsi per costruire o distruggere, secondo le necessità del momento.

I Grandi Progetti rappresentano una necessità per un mondo che pretende e afferma di essere l’unico possibile perché basato sulla ragione, sulle molteplici incarnazioni della ragione ipotetica che ricoprirebbero tutto il reale: la ragione dell’economia, quella dei finanzieri, degli ingegneri, degli sviluppatori, del manager. La critica di queste ragioni è al centro delle lotte territoriali. Liberare l’attività umana significa rifiutare il nucleo d’irrazionalità assoluta situato nel cuore della razionalità capitalista: lo spostamento dell’aspirazione verso l’illimitatezza che sembra inseparabile dalla condizione umana dalla produzione sempre più grottesca e mostruosa di oggetti (byte compresi). Contro questa razionalità irrazionale si tratta di intraprendere una ricerca essenziale per questi tempi catastrofici, quella della giusta misura in ogni realtà (nella produzione di questi o quegli oggetti, nei mezzi di trasporto, nella ricerca scientifica così come nelle abitudini di vita in comune). Questa ricerca non è compatibile con l’universalità astratta di un’unità di misura come il denaro o di una norma standard come il diritto. Nell’intensissima attività portata avanti dagli zadisti per far emergere la loro forma di vita, il loro modo di vivere, non ci sarebbe quasi alcuno spazio per un qualcosa di equivalente tale da renderlo un lavoro sfruttabile dal capitale.

La scomparsa della sinistra di governo è il prodotto di questa nuova tappa del capitale, nella quale s’afferma l’impossibilità del riformismo [dichiarazioni di Davos], compromesso fra gli sfruttatori e gli sfruttati nel quale si concede qualcosa a questi ultimi in cambio del prosieguo dello sfruttamento. Anche se la classe dell’alienazione consumistica ha ancora molta strada davanti a sé, vedi in Cina, quello che era lo scopo del riformismo, il sogno di una classe media universale integrante la maggior parte della popolazione mondiale, è andato miserevolmente in fumo. Il seguito sarà sia il peggioramento mortifero dello sfruttamento sia il superamento del capitalismo. La rivoluzione necessaria non può essere altro che un basculamento, un cambiamento di civilizzazione planetaria che si estenderà per decenni. Ciò che è arrivato a fine corsa oggigiorno, è un ciclo che si è senza dubbio aperto, con l’invenzione degli orologi nei monasteri. Perché esista al giorno d’oggi questa economia che ci si presenta come un qualcosa di naturale e che si impone essa stessa, questa allucinazione digitalizzata che trasferisce miliardi in pochi secondi nel cielo delle transizioni finanziarie, che chiude una fabbrica qui e ne apre un’altra là, che inquina massicciamente la vita pagando scienziati per negarlo prima d’imbarcarsi nell’industria del disinquinamento, perché tutto questo possa proseguire e funzionare, è stato necessario rendere il tempo misurabile. E più precisamente, è stato necessario rendere misurabile il tempo degli individui e dei gruppi dentro a ciò che esprime meglio il loro essere, vale a dire l’attività che trasforma le loro condizioni materiali. È stato necessario uscire dal tempo dell’autonomia soggettiva per trasformarlo in una quantità scambiabile dunque redditizia per la classe che domina lo scambio. La rivoluzione sarà la riappropriazione da parte degli individui e dei gruppi della loro autonomia temporale soggettiva. Nessuna entità con attributi extraumani, come l’economia, dovrà più far entrare la temporalità dei raggruppamenti umani in una temporalità universale regolata per un equivalente generale. L’esistenza di punti d’ancoraggio territoriali, le ZAD, gli spazi urbani riappropriati, le unità di produzione occupate, sono essenziali al divenire rivoluzionario. Già da ora, nelle zone refrattarie ai Grandi Progetti, un immaginario e una razionalità differente si stanno sviluppando. Avremo bisogno dell’uno e dell’altra per armonizzare un’espansione della comunizzazione a tutto il pianeta attraverso l’autonomia radicale delle attività e dei territori.

Difendere e sviluppare le ZAD (per esempio partecipando alla manifestazione del 10 febbraio) o criticare il lavoro per liberare l’attività (come ci si impegnerà a fare durante la giornata Tout le monde déteste le travail del 27 gennaio a Parigi) sono parti della stessa battaglia. In entrambi i casi si tratta di comprendere e di combattere, o meglio, sapendo che non ci impadroniamo di una realtà allo stesso modo quando la contempliamo o ci confrontiamo con essa, si tratta di capire e di combattere quel rapporto umano che, sotto il capitalismo imprime il suo segno a tutto il resto: lo sfruttamento. Lo sfruttamento dell’uomo (e in particolare della donna) sull’uomo, e lo sfruttamento della natura procedono nello stesso rapporto distorto e mortifero tanto per il mondo quanto per gli altri, con il quale la ZAD e la critica del lavoro hanno cominciato a rompere.”

 

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